The Leftovers stagione 2, episodio 1: la perdita e il mistero – RECENSIONE

Pubblicato il 12 Ottobre 2015 alle 16:45

Torna la serie evento del padre di Lost, Damon Lindelof … Ed è un ritorno in grande stile.

The Leftovers è, senza ombra di dubbio, una serie molto coraggiosa. Perchè, diciamolo, ci vuole coraggio per aspettare fino al 45° minuto per reintrodurre i protagonisti della prima serie.

Così come ci vuole coraggio a far esordire la seconda stagione con una scena completamente scollegata dalla trama, e per di più lunga, lunghissima. Talmente lunga che dopo i primi minuti ti viene l’impulso di controllare che quello sul quale ti sei sintonizzato non sia il canale sbagliato.

Ma non lo è, e lo si capisce da una cosa: nessun altro, se non Damon Lindelof, avrebbe potuto partorire una scena così misteriosa ed estemporanea, ambientata durante l’età della pietra e con protagonista una neo-mamma che dopo un terribile terremoto diventa, insieme al suo bebè, l’ultima rimasta della propria tribù.

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La magnifica fotografia ci dà un’immagine sporca, leggermente sgranata, e il panorama desolato e grigio appartiene ad un’epoca distante da quella in cui si svolgono i fatti della serie. Morsa da un serpente per proteggere il suo bambino, la cavernicola viaggia fino all’esaurimento delle proprie energie e muore tra atroci sofferenze sulla sponda sassosa di un lago.

Non c’è dato sapere se questa scena avrà ripercussioni sulla trama (cosa improbabile, vista la distanza temporale fra gli avvenimenti) ma lo stato d’animo in cui piombiamo dopo la sua conclusione rispecchia alla perfezione il mood della serie: incertezza, confusione, un martellante e flagellante senso di perdita.

La scena è emblematica da questo punto di vista, ma a livello di sceneggiatura ha un solo scopo: farci sapere che in quel luogo si verificano tremendi scosse sismiche da migliaia di anni, cosa che si ripeterà altre due volte durante l’episodio.

Però, c’è da prendere in considerazione anche la parte metaforica. Il terremoto è una metafora della Sparizione? Il crollo della caverna rappresenta la perdita della propria famiglia?

La transizione all’epoca moderna, poi, è geniale: un unico piano sequenza che ci mostra il lago prima ieri e poi oggi, senza battere ciglio, lasciando che sia la fotografia a schiarirsi e farsi limpida (una parola scelta non a caso: fotografia sporca = età della pietra, con la cavernicola maleodorante e lercia da capo a piedi; fotografia pulita = età moderna, con i personaggi che si buttano nell’acqua limpida del lago).

Da qui ci vengono presentati i nuovi personaggi, ma la serie non si ferma per darci il tempo di seguirla: veniamo catapultati nella vita dei Murphy, una famiglia di Jarden, Texas, e i quattro membri di questa allegra famigliola fanno come se noi neanche ci fossimo. Vivono la loro giornata facendo quello che fanno sempre, e sta allo spettatore carpire le informazioni necessarie a comprendere la loro routine.

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E allora ecco l’ambiguo John (Kevin Carroll), la moglie Erika (interpretata da Regina King, che ha appena vinto un Emmy per American Crime) e i due figli della coppia, la ribelle Evie e il tutto-casa-e-chiesa Michael.

Lindelof sceglie di presentarci per prima cosa questi nuovi personaggi e lasciare in disparte i protagonisti della prima stagione: Kevin e family arriveranno verso la fine dell’episodio, saranno i nuovi vicini dei Murphy e faranno subito la loro conoscenza. I problemi, ovviamente, non tarderanno ad arrivare.

Perchè a Jarden (o meglio Miracle, così ribattezzata perchè tutti i suoi abitanti sono stati miracolosamente risparmiati dalle Sparizioni) chi è speciale non è visto di buon occhio. La città, diventata una sorta di nuova Lourdes grazie ai migliaia di fedeli che ci si recano in pellegrinaggio per ricevere la grazia sperando di essere miracolati, è capeggiata da una banda di giustizieri notturni (guidati proprio da John Murphy) che si sono imposti il compito di tenere lontano chiunque millanti poteri o abilità miracolose.

In pratica, non ci sono miracoli a Miracle.

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La vicenda è assolutamente affascinante. Vediamo queste persone comportarsi in un modo che ci è totalmente sconosciuto, e le loro azioni e atteggiamenti ambigui e misteriosi non fanno che stupirci di volta in volta, lasciandoci shockati e confusi. Ci chiediamo “Perché fanno questo?”, “Che cosa li spinge a comportarsi così?”.

E Lindelof eccelle nel lasciare irrisolti gli interrogativi che lui stesso si diverte a seminare lungo la sceneggiatura, e gioca continuamente con le aspettative di chi si trova dall’altra parte dello schermo.

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Un capolavoro da ascoltare la colonna sonora, già osannata nella prima stagione. Il tema principale è pura poesia sinfonica, le cui note al pianoforte impreziosiscono qualsiasi scena.

Il finale, in puro stile Lindelof, è un grosso punto interrogativo che ci lascia col fiato sospeso e ci rimanda al prossimo episodio. Nel quale verrà narrato il viaggio di Kevin e Nora da Mapleton a Miracle.

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