Sopravvissuto – The Martian – Recensione
Pubblicato il 30 Settembre 2015 alle 14:23
Il campo base di una missione su Marte viene colpito da una violenta tempesta di sabbia costringendo l’equipaggio guidato dal capitano Melissa Lewis ad evacuare e a ripartire verso la Terra. Ritenuto morto, l’ingegnere e botanico Mark Watney viene lasciato indietro e dovrà ricorrere al suo ingegno e alle sue conoscenze per sopravvivere sull’ostile pianeta rosso. Gli scienziati della NASA, intanto, cercano di trovare un modo per riportarlo a casa mentre il capitano Lewis e il suo equipaggio si troveranno di fronte alla più ardua decisione della loro vita.
Le avventure spaziali d’autore sembrano essere diventate un appuntamento annuale ad Hollywood. Due anni fa toccò a Sandra Bullock sfuggire alle asperità siderali nel bellissimo e metaforico Gravity di Alfonso Cuaron. L’anno scorso è stata la volta del controverso Interstellar di Christopher Nolan nel cui cast figuravano Matt Damon e Jessica Chastain, di nuovo insieme in questa trasposizione dal romanzo di Andy Weir, L’uomo di Marte, diretta da Ridley Scott, il regista che trentasei anni fa intrappolò le sale cinematografiche di tutto il mondo in quell’inarrivabile, claustrofobico incubo cosmico che è Alien, tornando poi sul luogo del misfatto con il più recente e meno riuscito prequel Prometheus.
Scott accoglie subito il pubblico sulle rosse distese sabbiose di Marte attraverso una stereoscopia ottima, scenografie tangibili ed effetti digitali ben mimetizzati. Sia i titoli di testa che gli astronauti in marcia nella tempesta richiamano alla mente Alien mentre le musiche di Harry Gregson-Williams, stranianti ed evocative, riecheggiano alcune sonorità da Blade Runner, altro capolavoro di fantascienza del regista.
La sceneggiatura del bravo Drew Goddard (sceneggiatore di Cloverfield e World War Z, regista di Quella casa nel bosco e co-showrunner di Daredevil) è tradotta con buon ritmo e inventiva, venata di un umorismo che alleggerisce la narrazione ed è sostenuta da un cast in gran spolvero. Ci affezioniamo immediatamente alle vicissitudini del risoluto e simpatico Mark, che non si perde in chiacchiere e si butta in un’avvincente lotta per la sopravvivenza. Damon non ha nessuno con cui interagire e il film ricorre all’espediente del videodiario per comunicare al pubblico ciò che passa per la testa del protagonista.
Alla NASA si scontrano il pessimismo ostruzionista di Jeff Daniels con l’umanità e la caparbietà di Chiwetel Ejiofor. Sono affiancati da un gruppo di caratteristi di prim’ordine. Sean Bean che si cimenta in un esilarante omaggio alla sua interpretazione ne Il Signore degli Anelli che vale da sola il prezzo del biglietto. Funzionale Kristen Wiig, deliziosa Mackenzie Davis e risolutivo Donald Glover. E’ tutta una corsa ad ostacoli che ricorda quella di Apollo 13 e Goddard somministra spiegoni rapidi e semplificativi che non appesantiscono mai le due ore e venti di durata dell’opera.
Si gioca sul piano più emotivo ed etico l’arco narrativo dell’equipaggio guidato da Jessica Chastain, sempre carismatica e adorabile, qui in versione Capitano Kirk. Tra gli astronauti spiccano i volti noti del simpatico Michael Peña (Fury, Ant-Man), di Kate Mara (I Fantastici Quattro) e Sebastian Stan (Captain America: The Winter Soldier), anche se sono lasciati molto in disparte.
La vicenda si regge in miracoloso equilibrio tra realismo e dinamiche fiction senza tirare troppo la corda per quanto riguarda la sospensione dell’incredulità. La prima parte della storia è più intimista mentre la seconda si fa più corale e dispersiva oltre a diventare anche più prevedibile. Il finale funziona anche se non riesce a raggiungere l’apice emotivo che vorrebbe. Divertente l’uso nella colonna sonora di alcuni brani anni ’70, con un effetto nostalgia non dissimile da quello di Guardiani della Galassia che si rifaceva al decennio successivo.
Un inno allo spirito pionieristico dell’uomo e la consueta celebrazione dei cervelloni della NASA che evita con furbizia di scadere nell’americanismo. Il programma spaziale cinese, infatti, gioca un ruolo fondamentale. Un prodotto su misura per il grande pubblico, che denota tanto mestiere, un pizzico di retorica e un bel po’ di ruffianeria. E va benissimo così.