The Green Inferno – Recensione
Pubblicato il 22 Settembre 2015 alle 12:04
La giovane e bella Justine, figlia di un funzionario dell’ONU, si unisce ad un gruppo di attivisti di New York per recarsi in Amazzonia e salvare le tribù locali dalla deforestazione ad opera di potenti multinazionali. Il gruppo finirà invece preda degli stessi indigeni che cerca di salvare scoprendo che si tratta di feroci cannibali. Sarà l’inizio di un incubo ad occhi aperti.
Grande fan dell’horror all’italiana, Eli Roth, pupillo di Quentin Tarantino e regista di Cabin Fever e dei due Hostel, rende qui omaggio a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, pietra miliare del genere cannibalistico in voga negli anni ’70-’80 nonché precursore del mockumentary horror. Roth ha l’indubbio merito di non voler ricalcare lo stile di Deodato e di girare il film secondo il suo gusto personale, ne vien fuori però un prodotto troppo parodistico e privo di realismo.
L’errore è anzitutto quello di realizzare una storia troppo articolata e poco credibile anziché imbastire una vicenda efficace nella sua semplicità. L’idea degli attivisti catturati dalla stessa tribù che cercano di salvare sarebbe più che sufficiente senza tirar fuori collegamenti satellitari, funzionari dell’ONU, doppiogiochisti e quant’altro oltre ad alcuni risvolti narrativi davvero buonisti e prevedibili.
La componente splatter è naturalmente il piatto forte del film ed è esplicita al punto giusto ma finisce per essere troppo esagerata e non ha il tasso di realismo che aveva l’opera di Deodato. Proprio quando la violenza dovrebbe e potrebbe raggiungere quel preannunciato culmine da far digrignare i denti al pubblico, Roth si tira indietro dimostrando poco coraggio.
Irritanti anche le numerose parentesi comiche al limite del demenziale totalmente gratuite e fuori luogo, dalla tizia che ha un attacco di diarrea per il cibo che gli è stato somministrato all’amico che si masturba in gabbia per allentare la tensione passando per la tarantola che cerca di mordere il pene (mostrato quasi esplicitamente) di uno dei personaggi.
La presenza della bellissima e promettente attrice cilena Lorenza Izzo, protagonista della pellicola, non basta a tenere in piedi un’opera che, al di là del legittimo e dichiarato citazionismo, crolla sotto la mediocrità e la scarsa cifra stilistica del regista. La consueta scena durante i titoli di coda apre ad uno scongiurabile sequel. Un pasticcio.