BLUE – il colore dell’underground australiano secondo Pat Grant

Pubblicato il 17 Settembre 2015 alle 14:00

Quando si è giovani, tutto sembra possibile, si è padroni della terra e del mare. Ma la realtà, presto o tardi, irrompe e, per chi non sa accoglierla, non resta che chiudersi in un guscio di diffidenza, nostalgia, rancore.

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È difficile capire dove Blue inizi, finisca, o abbia la sua parte centrale. Il fumetto sgorgato dalle vene artistiche e personali più profonde di Pat Grant è come la vita, che torna indietro e allo stesso tempo scorre, che non ha riguardi per i nostri desideri e le nostre malinconiche memorie.

Un piccolo, fondamentale prologo apre il volume: c’è un ragazzino, in vacanza nella tranquilla cittadina australiana di Bolton, che cammina lungo la spiaggia, solo, in cerca di compagnia. Vede tre coetanei, gente del luogo, che costruiscono un castello di sabbia, e chiede di unirsi a loro. Silenzio e sguardi diffidenti. Poi un secco rifiuto e il gesto più spietato, la distruzione del castello in faccia al ragazzo venuto da lontano.

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Fin da queste prime vignette, percepiamo il clima culturale e umano che pervade Bolton: un disprezzo per tutto ciò che è strano, diverso, fuori dalle rigide, ma ipocrite regole di questa “città dormitorio”, costruita ad hoc attorno ad una fabbrica fumante, perfetto prodotto del ruspante capitalismo australiano.

Christian, Verne e Muck, i tre bulli della spiaggia, sono i degni rappresentanti di questo ambiente xenofobo ed è proprio uno di loro, l’allampanato Christian, il narratore della storia. Ormai adulto, sdentato e con la barba incolta, guarda attraverso occhi vacui ciò che resta della sua città, le cui siepi ben potate e strade sempre lustre hanno ceduto il posto alla sporcizia e al disordine, mentre uno strano popolo di esseri blu cobalto dai lunghi tentacoli ha soppiantato gli “australiani veri”, puliti e medio borghesi.

Abbandonandosi ai ricordi brucianti di un passato bugiardo, Christan racconta del giorno in cui, almeno per lui, ebbe inizio il degrado, il giorno in cui vide per la prima volta le creature blu e in cui seppe che il suo mondo, fatto di lunghe giornate con gli amici a surfare fino a sera, stava scivolando verso un’inesorabile fine.

Seguendo la marea dei ricordi, anche il lettore torna indietro nel tempo e vive quella memorabile giornata attraverso gli occhi e i caustici commenti di Christian. Sembrava un mattino come tanti e i tre adolescenti, come loro solito, avevano deciso di saltare scuola per andare a cavalcare le onde, o, ancor meglio, per testare la robustezza dei loro stomaci cercando i brandelli rimasti del corpo dell’uomo investito dal treno sui binari, poco fuori città.  Solo più tardi scopriranno che il morto non era uno del posto, bensì uno straniero appena sbarcato da uno sgangherato vascello clandestino.

Un uomo blu. Un colore destinato a segnare la condanna a morte per la vecchia, bianca Bolton e per l’infanzia di Christian.

 

blue2C’è così tanta anima nell’opera di Pat Grant, così tanti ricordi e tanta vita, che ogni tentativo di spiegarne lo stile e la trama sembra concludersi in un impotente fallimento. Non si può pretendere di analizzare al microscopio qualcosa di così spirituale: bisogna solo riceverlo come un regalo fragile, come una confessione.

Nell’illuminante saggio che segue il fumetto, di altissimo valore per la comprensione della prospettiva dell’artista autraliano, Pat Grant lo dice chiaro e tondo, citando Shaun Tan, suo amico e collega che per primo vide le tavole di Blue: “i fumetti parlano quasi sempre di ricordi, di guardare indietro, di cavare un senso dal passato.” Per Pat la vignetta e proprio questo, ricerca, esplorazione del proprio io profondo, della propria storia, del senso del proprio viaggio.

Ma Blue, edito da Edizioni BD nella sua giovane collana Psycho Pop, è anche qualcosa di più, è come una piramide, che, in basso, vicino al suolo, parla di ampi temi, della società dell’Australia di ieri e di oggi, di razzismo, di bullismo, di crescita e di educazione. In alto, invece, mano a mano che la base si restringe, i temi si fanno più intimi e personali, accompagnando l’autore in una sorta di catabasi individuale impossibile da sottoporre a critica artistica o letteraria.

E il lettore che voglia cogliere il significato completo di questo fumetto speciale, dovrà scalare l’intera costruzione, per raggiungere la punta, la parte più piccola e distante, ma anche quella allineata con le stelle.

Pat Grant, per sua stessa ammissione, non crebbe con il sacro mito degli intoccabili maestri dei comics a stella e strisce, Miller, Eisner, Kurtzman, Kirby, solo per citare alcuni nomi altisonanti. Egli, infatti, si formò nella desolata provincia del New South Wales australiano, non sulla East Cost delle grandi metropoli o nella Hollywood dai mille riflettori.

Era inevitabile, dunque, che non crescesse come un raffinato, giovane yankee entusiasta delle trasformazioni di Peter Parker. Non per sua scelta, non per sua colpa, ma per puro destino, Pat Grant fu un ragazzo australiano come tanti, consumatore vorace di fumetti a bassa tiratura e amante viscerale del vero, rude surf.

“Ero semplicemente arrivato ai fumetti in ritardo.”

Ammette lui stesso. Ed è proprio questo “ritardo” che lo ha portato ad amare opere fuori dal canone d’oro del fumetto, capolavori semi sconosciuti e in gran parte dimenticati di autori che lavoravano nell’ombra, emarginati, ma ben più liberi ed indipendenti degli “sfornatori di supereroi” americani. Rick Griffin, con le sue immagini di onde perfette e il suo vero surf, lontano anni luce da quello fittizio di una star mondiale come Silver Surfer; e poi l’ironico Tony Edwards, con il suo psichedelico maiale sulla tavola; o, ancora, Mark Sutherland, “papà” dell’irriverente Gonad Man, nemico naturale di ogni forma di moda, tendenza e cultura del consumo.

Questi furono e sono tuttora i grand ispiratori di Pat Grant, coloro che lo spinsero ad abbandonare qualsiasi altra strada per imboccare quella stretta e irta di ostacoli del fumetto, vissuto non come prodotto di divertimento immediato di massa, ma come chiave di lettura del mondo in cui vive l’artista, del suo animo, del suo modo di percepire la realtà.

E Blue, con i suoi disegni netti e puliti, “mandala” di foglie spinose, di vortici di onde, di cilindri di grondaie, è un’opera bifronte, che guarda all’esterno, ai grandi temi dell’opinione pubblica, ma che scende anche nelle profondità dell’animo dell’autore. Quanto della politica della paura e del rifiuto che aleggia nelle aule di governo e nelle piazze australiane ed europee possiamo percepire nel fumetto di Grant!

Tematiche importanti e contingenti, che l’artista rappresenta con il suo stile sincero, diretto e quasi infantile, con vignette dai contorni ondulati simili a fazzoletti restituiti dalla risacca del mare, scroscianti di onde immobili e terse che ricordano i capolavori di Hokusai. Vignette selegate, isolate, talvolta tante e piccole in una sola pagina, come figurine, talvolte grandi ed ingombranti, silenziose come poster scoloriti dal vento e dalla salsedine.

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Un’opera che, nella sua versione digitale, l’autore ha fortemente voluto priva di copyright, perché tutti possano leggere, scaricare, condividere e conoscere questo piccolo frammento del suo cuore, senza limiti di scontrino o di imposta editoriale.

Blue è un fumetto di mare e strade, di binari e di onde, che si tinge tanto del colore dell’oceano quanto di quello dell’asfalto. Frutto soprendente di un underground australiano praticamente ignoto nel nostro paese, dove l’immagine comune della terra dei canguri non si allontana di molto dagli stereotipi confezionati per noi da film come Crocodile Dundee e l’Australia di Baz Luhrmann, Blue rappresenta un piccolo shock culturale per il mite lettore italiano. Uno shock più che salutare.

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