Made in Italy #3: Pensiero libero e indipendente, ovvero un lungo confronto con Enzo Troiano

Pubblicato il 14 Febbraio 2011 alle 12:28

Confrontarsi con persone come Enzo Troiano arricchisce sempre.

Ci siamo conosciuti (ancora) ad un Napoli Comicon, ed abbiamo parlato molto a lungo.

Mi colpì, il fatto che fosse disponibilissimo, soprattutto con i più giovani che affollavano lo stand per chiedergli consiglio, per fargli vedere i loro book.

Non ha mai trattato nessuno con sufficienza, con quella spocchia che spesso hanno gli autori che sono (o si credono) grandi luminari.

Invece Enzo, una delle voci più autorevoli del fumetto italiano indipendente, con decine di pubblicazioni internazionali, dedicava il suo tempo a suggerire ad esordienti come migliorare, a quale genere dedicarsi, o la casa editrice migliore per proporre i loro lavori.

Decisi che volevo conoscerlo, ed eccoci qui:

Armando Perna: Ciao Enzo, e benvenuto su Mangaforever.net e tra le righe di “Made in Italy”. Se questa fosse una normale rubrica di interviste starei facendo una presentazione di te e dei tuoi lavori, ma dal momento che non ci piace la monotonia, ti chiederei di raccontarci un episodio della tua vita che sia indicativo del tuo modo di essere, come persona e come autore di fumetti.
Enzo Troiano: Intanto grazie a voi per la concessione di questa intervista. Più che raccontare un episodio della mia vita (ce ne sarebbero troppi) cercherò brevemente di spiegare il mio modo di essere e cosa ha valore per me.

Sono sempre stato una persona dal pensiero libero, nel modo di essere e di presentarmi; anticonformista al massimo, amante della semplicità e soprattutto dei bambini. Non amo né mi attira il potere, mi piace stare con le persone semplici, credo nell’amicizia e nel valore della parola. Amo le donne (ahimè non credo di essere l’unico), adoro i grandi artisti, Mozart, Paganini, Michelangelo, Pasolini, Maradona…Sono uno con cui non è facile avere a che fare, perché sono diretto e non amo la diplomazia che per me, è l’anticamera della menzogna. Nello stesso tempo, ho imparato che nella vita bisogna cercare di essere cauti, di non sopravvalutarsi e ad avere rispetto di tutti, anche di quelli che hanno un modo di vivere e pensare diverso dal nostro.

Hai cominciato giovanissimo, con un primo premio all’età di soli 6 anni e poi con i primi incarichi professionali nel 1988 per illustrazioni, caricature e vignette per giornali sportivi (a proposito: Forza Napoli). Cosa puoi dirci delle tue prime esperienze e quanto sono diverse da quelle che possono fare gli esordienti oggi?

Malgrado sia tifoso del Napoli, francamente oggi il calcio lo seguo poco o niente. Le mie prime esperienze erano legate al mondo dello sport, perché all’epoca a Napoli non c’era veramente nulla.

L’unico sbocco erano i giornali sportivi e devo dire che disegnare moviole sportive, come il grande Samarelli o caricature alla Franco Bruna, per me era una sfida e motivo d’orgoglio. Che cosa posso dire a un giovane di oggi, che se gira per la città trova fumetterie, fumetti dappertutto e scuole in cui disegnatori professionisti, fanno a gara per insegnargli quello che sanno? Ai miei tempi non c’era un decimo di quello che c’è oggi e uno che t’insegnava il mestiere non lo trovavi nemmeno a pagarlo in oro.  Questa, comunque è anche la spia che c’è una grande crisi nel fumetto rispetto ad un tempo, dove i disegnatori non avevano la possibilità di fare gli insegnanti, perché completamente assorbiti dal lavoro.

Rispetto a molti altri autori italiani, anche famosi, hai molte esperienze all’estero al tuo attivo (ricordiamo, ad esempio, Land of Azor per la rivista americana Heavy Metal, Shinedome in Francia con Pointe Noire, due libri in Inghilterra con la Beehive Illustrations): com’è fare fumetti per il mercato estero? Quali possibilità offre rispetto a quello italiano e, secondo te, perché?
Intanto i libri fatti per Beehive sono più di 30 e questo non potevi certo saperlo. Fare fumetti per il mercato estero è sicuramente diverso. Lo è soprattutto per gli USA, dove almeno per Heavy Metal io facevo quello che volevo. Anche in Inghilterra, dove lavoro come illustratore, godo di un rispetto e una considerazione che ti gratifica e ti riconcilia con il tuo mestiere. Per la Francia per esempio non è molto diverso dall’Italia. Cambia il formato e il tipo di lavoro, ma le direttive e le imposizioni dell’Editore sono forse, peggio di quanto non avvenga in Italia (anche se questo non è accaduto con la Pointe Noire). Per quanto alle possibilità che offre, non credo più che siano così tante rispetto al nostro paese, poiché Bonelli è uno degli editori che vende di più al livello planetario e tutti i disegnatori bonelliani che hanno pubblicato in Francia, non hanno venduto la decima parte, di quello che vendono con Bonelli. Questo perché non puoi portare un disegnatore del fumetto così detto popolare e farlo lavorare come un fumettista d’autore. Pur avendo pari dignità professionale, sono due tipi di professionisti diversi che ti danno risultati diversi. Ma gli Editori di oggi sembrano non credere più nell’autore e non investono più sulle sue idee, con i risultati che vediamo.

Engaso 0.220 è stata una serie altamente rappresentativa di un certo periodo storico ed intellettuale del fumetto indipendente italiano. Il fervore rivoluzionario in ambientazione tra il cyberpunk e la fantascienza pura racchiude i semi di una rivoluzione culturale sul punto di scoppiare. Cos’è successo poi?
E’ successo quello che succede nella realtà. Siamo tutti conformisti travestiti da ribelli, diceva un cantante (credo M. Masini). Beh è vero! Siamo tutti pronti a fare la rivoluzione, quando siamo giovani, con la tasca vuota e con la voglia di dimostrare quello che sappiamo fare.

Poi arriva il potere con la sua calma, la sua flemma ed esperienza e ci dice: “Calma, cosa c’è… vuoi fama, soldi e successo?  Eccoteli qui!!  A un patto però, che tu da oggi in poi sia mio e solo MIO e farai solo ciò che ti dico di fare. Inoltre scordati di pensare, quello non è più compito tuo”. Molti ci cascano e finiscono di essere liberi. Se ci fossero stati tutti E.Troiano (con tutta la modestia per carità) “Engaso 0.220” non sarebbe mai morto. Da soli però non si può far nulla. Comunque ora grazie alla Cagliostro e-press, “Engaso” sta avendo una seconda vita e al Museo della città della scienza di Napoli, c’è una mostra permanente del primo ed unico fumetto Cyberpunk fatto a Napoli.

In Korea 2145, in Lufer, ma in tutte le tue opere c’è un forte senso di ribellione (nel senso positivo del termine), pulsioni dell’essere umano verso il futuro, che passa attraverso il guardare il presente da nuove prospettive, da nuove angolazioni, spesso interne ai protagonisti stessi. Quali sono gli obiettivi di questa tua poetica? Ritieni di averli soddisfatti?

Non credo di avere solo io queste pulsioni ma molti altri cittadini. Certo, come asseriva Pasolini, quando un artista è libero, disinteressato è di per se scandaloso è, lo è tutto quello che dice, semplicemente perché si oppone a ciò che è statale, istituzionale e che cioè va bene per tutti. Gli obiettivi? Intanto far leggere ai lettori un fumetto ben fatto e che li appaghi del prezzo speso. Poi sicuramente inserendo argomenti di denunzia sociale, quello di far riflettere ed invogliarli a cercare di verificare se le cose che sono riportate nel fumetto abbiano qualche collegamento con la realtà e siano vere. Se questo obiettivo è raggiunto o no, andrebbe chiesto ai lettori delle mie storie.

La maggior parte dei tuoi lavori hanno ambientazioni che variano dal fantasy alla fantascienza pura, dallo steampunk al tecno-fantasy al cyberpunk. Come mai questa passione?
Forse è dovuta al fatto che mi danno un senso di libertà e sogno, di cui sicuramente non posso fare a meno. Poi sono figlie della fantascienza e io credo, come molti della mia generazione, di essere cresciuto nella fantascienza che poi sfociava nel fantasy, steampunk e cyberpunk, sopratutto grazie ai favolosi Anime.

Tra i tuoi modelli figurano, oltre ai Grandi del fumetto italiano, europeo ed americano, anche numerosi manga. Sei anche un grande appassionato di animazione giapponese. Quanto ritieni che entrambi (anime e manga) abbiano influenzato la produzione e i gusti del nostro paese?
Ma…quanto abbiano influenzato l’Italia non so! Al livello commerciale, molto. Gli italiani vogliono il massimo rendimento con il minimo sforzo, quindi si sono buttati dietro al filone, scimmiottando i manga, solo per una questione economica.

Un altro conto e capire i capolavori che i maestri d’oriente ci hanno regalato e farne frutto. Io, in tutta umiltà, cerco di farlo. Nei miei lavori c’è Mijazaky, Satoshi Kon, Watanabe, ma senza copiarli. Citazioni fatte con rispetto e modo di interpretare i personaggi che li ricordi.  Quest’estate è morto Satoshi Kon, ne ha parlato qualcuno? Hai sentito la notizia alla Rai o su qualche canale digitale? Muore uno dei più grandi geni della nostra epoca e in Italia, manco sanno chi sia. Magari sanno tutto delle Sailor-moon, ma nulla di un genio come Kon.

Un’altra delle tue peculiarità è l’abilità nell’inserire citazioni ed omaggi ad altri autori nelle tue tavole. Citare è un’arte, anche perché bisogna essere comprensibili ma discreti. Inoltre è un modo per affezionare i lettori, strizzandogli l’occhio perché capiscano di avere passioni in comune con l’autore. E’ questo uno dei tuoi obiettivi o lo prendi semplicemente come un gioco di abilità, un’occasione per disegnare quello che ami?
Ti ringrazio per aver notato quest’aspetto del mio modo di lavorare. In un’altra intervista per la nota rivista di fantascienza “Delos”, di questo mia peculiarità del modo di lavorare, è stato detto, secondo me molto correttamente, che io sono un fumettista post-moderno. Comunque sono d’accordo con te. Sicuramente fra lettore ed autore ci sono molte cose e passioni in comune.

In alcune delle tue opere più recenti, in particolare Harcadya lo stile ha un tratto simile a quello di Frezzato: vi conoscete di persona? Condividete gli stessi modelli?
Ci conosciamo da molti anni, da quando ahimè avevamo appena 26/27 anni.

Condividiamo sicuramente gli stessi modelli (Mijazaky-T.Hara-Liberatore). Devo dire per amor di verità, che Massimo era già un grande, quando io ancora annaspavo fra i dilettanti ed io sono stato uno dei suoi primi fan italiani.

Sempre in Harcadya, nel primo numero, dopo una prima parte molto lineare dal punto di vista narrativo vi è un cambiamento di stile: una tecnica molto cinematografica che, con una serie di flash (racchiusi in poche tavole) spazia da un personaggio all’altro per poi (presumo) ricomporsi nel volume successivo. Come mai questa tecnica di “frattura” (che mi ha ricordato molto Bilal)?
Lo hai detto. Perché il volume aspetta un seguito per compiersi, quindi era naturale che ci fossero dei punti in sospeso. Comunque ti ringrazio per l’accostamento ad un mostro sacro come Bilal.

Nella quarta di copertina di Harcadya si vede il marchio “Wombat”. Cosa ti lega a questa etichetta ed a Luca Presicce?
Mi lega quello che mi lega a qualsiasi altro editore: serietà, professionalità e rispetto dei ruoli.

Una curiosità: perché i tuoi personaggi hanno sempre delle chiome così incredibili?
Forse perché il sottoscritto ha sempre portato i capelli lunghi. Forse perché i capelli lunghi sono segno di ribellione, anticonformismo, libertà di pensiero. Forse semplicemente perché mi piacciono.

Il tuo stile è molto versatile, e, con le giuste costanti e peculiarità, si adatta a numerosissimi generi. Sul tuo sito (lo segnaliamo ai lettori) si possono vedere tavole ispirate ai supereroi, a personaggi Bonelli, perfino a manga di successo. Sono solo un gioco, un esercizio di stile o c’è di più? Con quali autori stranieri ti piacerebbe lavorare in tandem?
No, non sono un gioco d’esercizio. Sono frutto di gavetta, una grande e dura gavetta, per poter uscire.

Chi pensa ad un Enzo Troiano presuntuoso, che sin dal primo momento ha creduto di essere il nuovo Pratt o Manara, si sbaglia di grosso. Io ho lavorato tanto e fatto tante prove per emergere. Mi sono piegato a fare cose che non mi piacevano, a disegnare peggio di quanto fossi capace, pur di venir fuori con un Editore di quelli che contano, ma la mia personalità ha sempre spaventato. Quelle che puoi vedere sul sito sono il frutto di tanto lavoro, non gioco.

Il problema che su di me si dicono tante sciocchezze, senza conoscere i fatti e non mi riferisco certo a te o ai tuoi collaboratori che avete  dimostrato rispetto e gentilezza nei miei confronti. Un autore straniero con cui lavorare? Lo sceneggiatore Buron Son, i disegnatori T.Charest e Mukesh Singh.

A proposito di Bonelli. So che probabilmente è un nervo scoperto, quindi sentiti libero di non rispondere. Come mai, seppure Sergio Bonelli avesse manifestato interesse per i tuoi lavori non ti ha più offerto una collaborazione? Nel frattempo ti dico come la vedo io: perché pagare il cachet di Enzo Troiano se si possono far lavorare quasi gratis aspiranti esordienti che hanno passato gli anni della scuola a disegnare facce di Brendon? Non conviene. Se poi c’è bisogno di far parlare di Dylan Dog si ingaggia per un numero Massimo Carnevale & Roberto Recchioni i cui numerosi fan compreranno per forza il volume (anch’io ho comprato Mater Morbi ed erano anni che non acquistavo un D.D.).
La prima domanda dovresti rivolgerla a Sergio Bonelli. Potrebbe risponderti che non ricorda l’episodio (malgrado alla stazione di Angoulemé ci fossero come testimoni mia moglie e Marcheselli). Io lo ricordo molto più che semplicemente interessato, in realtà era entusiasta, rapito dal mio modo di lavorare e mi propose subito di collaborare. Poi come molte cose della mia vita, stranamente tutto sembrò svanire. Ora, la  tua teoria può avere un fondamento, ma io non credo che il problema sia quello. La realtà e che io non faccio parte di nessuna scuderia e non ho protettori o sponsor.

Poi la Bonelli è troppo chiusa per un disegnatore libero ed indipendente come me, Ponticelli, Frezzato, Castellini, D.Medri, Parillo e molti altri dello stesso genere caratteriale.

Se vuoi una mia opinione, io non credo che lui sia l’unico a decidere. Comunque non mi disturba affatto parlare di Sergio Bonelli che ritengo una persona seria, per bene ed un gran conoscitore del fumetto. Così come della Bonelli e dei suoi disegnatori che rispetto, ammiro (come Casertano-Franzella-Di Vincenzo) e di cui sono anche amico (come Brindisi-i gemelli Cestaro-Siniscalchi-Ricciardi-Marinetti ecc.).

Ritorniamo su più piacevoli binari: ci racconti qualche progetto futuro? A parte ovviamente il vol.2 di Harcadya?
Progetti futuri? Intanto una stabilità che mi permetta di lavorare con più serenità, poiché sono bloccato per il mio trasferimento. Poi varie cose: sicuramente finire il secondo numero di “Harcadya”, almeno per Lucca 2011 come promesso ai lettori.  Riuscire a portare a termine vari progetti e prove con vari Editori internazionali, una storia che deve essere ancora pubblicata da “I-comics”, riprendere con maggior continuità la collaborazione con la Beehive, penso sia tutto qui.

Alle fiere ti ho visto sempre dedicare tantissimo tempo ai giovani aspiranti fumettisti, analizzare con occhio clinico interi book disegnati e dare loro consigli su a quale editore proporsi o magari di andare in Francia per fare animazione. Anche questo fa parte del tuo modo di essere artista e di contribuire allo sviluppo del fumetto italiano?
Questo è sicuramente un mio modo di essere. Io rivedo nei giovani, Enzo Troiano di tanti anni fa che vagava come un cucciolo sperduto fra gli stand, con la paura e l’ansia di far vedere i propri lavori.

La paura di avere giudizi negativi, che parole pesanti, severe e a volte cattive avrebbero potuto frustrare tutti i miei sforzi, sacrifici e speranze. In fondo io sono ancora quel ragazzo che girovagava gli stand smarrito e confuso. Le parole di incoraggiamento e speranze per i giovani che si alternano al mio stand, sono per loro ma anche per me…io sono uno di loro!!

Cosa ne pensi della distribuzione in Italia e come vedi l’ingresso nel mercato del nuovo distributore “Messaggerie Libri”?

Vorrei essere ottimista, ma non riesco ad esserlo. Non è per “Messaggerie Libri” o qualsiasi altro colosso che entri in questo campo. Il problema è che noi viviamo male, perché viviamo in una società corporativa e che è controllata da una mentalità corporativa. Da questi individui, con questa mentalità colonizzatrice, non possiamo aspettarci nessuna mossa leale, nulla di onesto e trasparente, nulla di buono. Il profitto per chi lavora ed entra in un campo è una cosa legittima e sacrosanta, ma va accompagnato dall’indipendenza da ogni legame con Editori, dalla passione, dall’amore per un settore. Dalla conoscenza che ci si confronta con altri soggetti che lavorano e fanno sacrifici e quindi meritano considerazione e attenzione. Dietro queste sigle si nascondono sempre gli stessi individui, che hanno creato queste difficoltà e poi con abili mosse e dietro nomi apparentemente nuovi, si presentano come la medicina di una male che loro stessi hanno creato.

In Italia oggi il mercato dei fumetti, almeno nella fascia 15-25 è quasi completamente monopolizzato dal fumetto giapponese, che certamente ha dei prodotti ottimi, ma anche molti titoli di “serie z”. Come si può avvicinare, secondo te, anche i giovani lettori al fumetto italiano?
La diffusione dei manga, così folle, non è certo colpa dei lettori.

Qualcuno tanti anni fa aveva deciso che fosse conveniente barattare i manga giapponesi con qualcosa di nostro.

Hanno messo un manipolo di apparenti ragazzini, a guidare quella che ai più è sembrata un’innocente crociata pro-manga, perché avevano degli scopi, sicuramente ai più sconosciuti. Un’ alleanza che ha visto uniti i network televisivi e gli Editori di grido, che hanno importato il meglio e il peggio della produzione giapponese, cancellando testate (Editoriale Corno) e trasmissioni televisive (Supergulp), che davano lavoro a molti italiani INDIPENDENTI. Molti anni fa ricordo di aver discusso di questo con alcuni collaboratori di Engaso. Io sostenevo che i Manga fossero troppi e che per salvaguardare i nostri prodotti, i nostri autori, si dovesse porre un freno all’importazioni così scriteriate. Venni assalito, dato del retrogrado, del conservatore. Tutte parole imparate dai mass-media che quanto vogliono tutelare gli interessi e le trame dell’Elite di comando, s’inventano tutti questi vocaboli senza senso, che però fanno presa su molti. Non c’è nessuno più conservatore del potere, che fa credere, invece di essere moderno e all’avanguardia. E’ semplicemente una questione di intelligenza che ogni paese divulghi il meglio della propria produzione per il resto del mondo (in qualsiasi campo) ed è altrettanto logico che ognuno si tenga invece, le cagate sue. Inoltre con la sovra-produzione di manga e anime, che è chiesta ai giapponesi, oltre all’abbassamento della qualità (di chi lavora e di chi legge) si alimenta un sistema di schiavitù lavorativa.

Se ti chiedessi di indicarmi dei giovani autori italiani promettenti, e lo sto facendo, chi additeresti?
E’ sempre antipatico fare nomi, con tanti giovani autori bravi sarei sicuramente ingiusto. Ti farò i nomi di quelli bravi che conosco io: P.Qualano, M.Castiello. B.Ciardo, D.Antoniucci, G.Porcelli, F.Musetti, T.Bennato, M.Cito, M Scalera e spero di non aver dimenticato nessuno.

Ti sentiresti completamente appagato sotto il profilo artistico se…
Se facessi un fumetto in tandem con Claudio Castellini, Alberto Ponticelli o Frezzato. Se facessi un’illustrazione con Lucio Parrillo o Paolo Parente. Se disegnassi una storia su testi di Sclavi o Buron Son. Se lavorassi in un cartone animato il cui regista si chiami Otomo o Watanabe. Se avessi cantato in tandem con Antonella Ruggeri. Se avessi recitato in un film di Pasolini o in una commedia di Eduardo De Filippo. Se avessi fatto un duetto con Ian Gillan o Robert Plant. Se avessi potuto lavorare con Claude Moliterni.  Se avessi recitato in un film con Pamela Anderson, Sharon Stone o Senta Berger. Se avessi giocato a tennis con Borg. Se fossi stato sulla macchina di Starsky ed Hutch. Se avessi avuto come maestro Bruce Lee o Paganini e infine se avessi potuto palleggiare con Maradona, mannaggia a lui…

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