Southpaw: quando l’amore ti mette al tappeto – Recensione

Pubblicato il 6 Settembre 2015 alle 13:20

Ispirato liberamente alla vita e alla carriera di Marshall Mathers, il rapper americano conosciuto in tutto il mondo col nome d’arte di “Eminem”, Southpaw è la storia di un uomo completamente distrutto dal dolore, al punto da arrivare a desiderare la morte. Solo l’amore per sua figlia gli darà la forza di continuare a lottare per riprendersi tutto quello che gli è stato portato via.

Billy Hope. Billy The Great. Un inarrestabile pugile, campione mondiale dei pesi medi, con un leggendario score di 42 vittorie e 0 sconfitte. La sua forza sul ring nasce dall’ingestibile rabbia che tormenta il suo spirito, colpa di una vita dura e un’infanzia passata negli orfanotrofi di Hell’s Kitchen, uno dei quartieri più duri di New York City. Il suo stile da toro scatenato è quasi suicida, senza un minimo di difesa, e la sua filosofia di boxe è “più vengo picchiato più restituisco”.

Solo che la sua bellissima moglie, Maureen, che Billy ha conosciuto a 12 anni nell’orfanotrofio in cui è cresciuto, non ne può più di contare i pugni che il marito si fa dare nel ring sperando che riesca a restituirne più di quelli che riceve.

Sempre più spesso ormai Billy appare confuso, col volto pesto e gli occhi gonfi, la bocca sanguinante. E, siccome Billy vive per lei, quando la moglie gli chiede di lasciare tutto e godersi la vita milionaria che si sono conquistati, il pugile accetta nonostante le allettanti proposte del manager, Jordan Mains, che gli ha preparato un contratto da 30 milioni di dollari per 3 incontri.

Ad una serata di beneficenza per gli orfani newyorkesi, però, la tragedia: Maureen rimane uccisa durante una rissa che Billy aveva iniziato cedendo alle provocazioni di un agguerrito pugile rivale, Miguel Escobar. E in una lunga, straziante scena Billy Hope vede morire la sua unica ragione di vita.

Billy and Maureen dance at the gala benefit; their last happy moments before tragedy strikes.  JG, RM

Da queste premesse inizia Southpaw, diretto da Antoine Fuqua su una sceneggiatura di Kurt Sutter. C’è molto da dire su questo film, ma prima di analizzare gli aspetti stilistici o le delicate tematiche affrontate dalla pellicola, per contestualizzare il tutto bisogna aprire una piccola parentesi su alcuni dettagli della produzione.

La sceneggiatura del film era già pronta il 13 dicembre del 2010, quando la Dreamworks la comprò e contattò il rapper Eminem per recitare nel ruolo del protagonista, Billy Hope. Lo sceneggiatore del film, Kurt Sutter, voleva lavorare con l’artista di Detroit dopo aver visto il suo film semi-autobiografico, 8 Mile, e scrisse la storia di Southpaw ispirandosi ai dolori e alle difficoltà che Eminem ha dovuto affrontare nel corso della sua vita.

Il pugilato è visto quindi come una sorta di metafora attraverso la quale rievocare le battaglie personali del rapper, che nel film vengono riproposte neanche troppo velatamente non in ambito musicale, ma sportivo: Eminem, come Billy, è stato ritrovato in fin di vita dalla figlia Hailie; Billy, come Eminem, ha dovuto lottare per la custodia della figlia; entrambi erano sul tetto del mondo e, dopo un periodo particolarmente difficile, sono tornati più forti di prima.

Sono molti insomma gli aspetti della vita del rapper che si notano in questo film. Eppure Eminem, nel 2012, lasciò la produzione per concentrarsi sul suo nuovo album (The Marshall Mathers LP2, che gli è valso il suo quindicesimo Grammy Award) e i diritti del film passarono alla The Weinstein Company, che scritturò Jake Ghyllenhaal per il ruolo di protagonista.

Eminem comunque è rimasto nella produzione, lavorando alla colonna sonora del film insieme al compianto compositore James Horner (tra le altre, autore delle colonne sonore di Aliens, Titanic Avatar), scomparso prima della fine delle riprese e alla cui memoria il rapper ha dedicato il suo album ispirato al film, Southpaw (Music from and Inspired By the Motion Picture).

eminem-jake-gyllenhaal-movie-screening-f6f64102a18ca1ffPer quanto riguarda il film vero e proprio, c’è da dire che la regia di Fuqua porta su schermo in maniera chiara e senza sbavature l’ottima sceneggiatura di Sutter. Una trama lineare eppure solidissima, che ci ricorda che a volte le cose semplici sono anche quelle che funzionano meglio. La pellicola riesce a mescolare alla perfezione una storia di espiazione e redenzione ad una forte componente emotiva.

Hollywood ci ha raccontato moltissime belle storie di boxe, dall’intramontabile Rocky di John G. Avildsen, arrivando al The Fighter di David O. Russell passando per il Cindarella Man di Ron Howard. Eppure in Southpaw il senso di tragicità, perdita e riscatto vengono estremizzati, e non è un caso che il sottoscritto abbia visto più di una persona con gli occhi lucidi o le guance rigate all’uscita dalla sala.

I motivi del perché Southpaw sia un altalena di emozioni che oscilla tra gioia e dolore sono tanti, e tutti funzionano a meraviglia.

(L-R) JAKE GYLLENHAAL and OONA LAURENCE star in SOUTHPAW  © 2014 The Weinstein Company. All Rights reserved. / Credit: Scott GarfieldPer prima cosa, Jake Ghyllenhaal. L’attore losangelino ruba la scena a chiunque si trovi nella sua stessa inquadratura, e se con Nightcrawler ci aveva regalato un’interpretazione inquietante e priva d’empatia, qui si mette a nudo calandosi alla perfezione nei panni di un uomo che aveva tutto e che l’ha perso, e che adesso deve lottare per l’unica cosa che gli è rimasta: sua figlia.

E non è un caso se i picchi emotivi questo film li raggiunge quando Ghyllenhaal recita insieme ad Oona Laurence, che interpreta la figlia di Billy, Leila.

Ci sono due scene, in particolare, che allungano la mano attraverso lo schermo della sala per afferrare i cuori degli spettatori e farli in mille pezzi: quando la bambina, costretta a vivere in orfanotrofio mentre il suo papà lotta disperatamente per riottenerne la custodia, lo incolpa di tutto ciò che sta capitando loro, e inizia a schiaffeggiarlo e urlargli che sarebbe dovuto morire lui al posto della mamma; e l’altra, forse ancora più toccante, quando padre e figlia si sono riappacificati e sono seduti sull’erba davanti alla lapide di Maureen. “Mamma aveva paura quando veniva ai tuoi incontri?”.

Il tono con cui la bambina si rivolge al padre è tanto innocente quanto commovente, grazie anche ad un buon doppiaggio italiano.

Inoltre, la peculiarità della pellicola è che può essere vista sia dal punto di vista di Billy (il marito che ha perso l’amata moglie, il perno intorno al quale girava la sua vita, e che ora deve cercare di essere un buon padre) ma anche calandosi nei panni della povera bambina (che non ha più una madre ed è costretta a vivere in un orfanotrofio a causa di un padre distrutto dal dolore, che ha perfino tentato il suicidio).

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Buona anche la prova di Forest Whitaker (un nome che è praticamente una garanzia) che interpreta la parte di Tick Wills, un vecchio pugile in pensione, ora proprietario di una piccola palestra che ha lo scopo di aiutare gli sfortunati adolescenti di Hell’s Kitchen attraverso la boxe e la disciplina, che si rimetterà in gioco proprio grazie a Billy: l’ex campione ha bisogno di un lavoro fisso per dimostrare al giudice che può essere un buon padre per sua figlia, e dopo avergli offerto un posto come inserviente, Tick deciderà di diventare il suo allenatore per permettergli di riprendersi il titolo di campione del mondo.

Un buonissimo film, che non stupisce ma colpisce, grazie al forte senso di emotività che trasmette dal primo all’ultimo minuto. O round, se preferite. Jake Ghyllenhaal si dimostra maturo (possibile seconda nomination consecutiva in arrivo?) e recita in modo egregio, sia nella disperazione quotidiana che nella follia cieca del ring.

Ottima anche la colonna sonora, che grazie alle melodie struggenti di Horner e alle tracce underground ed energiche di Eminem (che con 8 Mile vinse l’Oscar per la miglior canzone, e chissà che con Southpaw non gli riesca il bis) cambia pelle a seconda del feeling della scena, scandendo il dolore di Billy nelle sequenze più tragiche per poi far esplodere tutta la sua adrenalina nelle scene di allenamento e di lotta.

Prima di lasciarvi, una curiosità: il titolo del film è un termine della boxe usato per i pugili mancini, che hanno il vantaggio di poter sorprendere un avversario destroso. Un’altra metafora che lega Billy Hope a Eminem: il rapper americano è mancino.

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