Operazione U.N.C.L.E. – Recensione
Pubblicato il 2 Settembre 2015 alle 23:34
1963. Napoleon Solo, agente CIA ed ex-ladro professionista, porta fuori da Berlino Est la giovane Gaby Teller, figlia di uno scienziato nazista diventato collaboratore degli Stati Uniti. I due sfuggono ad Illya Kuryakin, granitico agente KGB. Tuttavia, Solo e Kuryakin saranno costretti dai loro superiori a collaborare per impedire che i Vinciguerra, una coppia imprenditrice italiana, costringa il padre di Gaby a costruire un’arma nucleare.
Quest’anno, ad Hollywood, vanno forte le spie. Dopo Kingsman – Secret Service, Spy, Mission Impossible: Rogue Nation e in attesa di Bridge of Spies di Steven Spielberg e di Spectre, il nuovo film di 007, arriva nelle sale italiane questo adattamento cinematografico di Organizzazione U.N.C.L.E., serie tv anni ’60 incentrata sulle avventure della coppia di agenti segreti composta dall’americano Napoleon Solo e dal russo Illya Kuryakin. Una dicotomia che risultò vincente in piena Guerra Fredda e che torna d’attualità con le rinnovate tensioni tra i due paesi.
Nel ruolo dei protagonisti troviamo i granitici mascelloni di Henry Cavill, il nuovo Superman cinematografico, e Armie Hammer, sottovalutato Ranger Solitario della Disney e mancato Batman nel defunto film sulla Justice League di George Miller. Solo è un distaccato e flemmatico calcolatore sciupafemmine, Kuryakin è un concentrato di rabbia pronta ad esplodere. Ago della bilancia tra i due è l’esile, enigmatica, Alicia Vikander, già apprezzata in Ex Machina.
Girato per buona parte in una Roma patinata, con una sontuosa ed elegante ricostruzione storica sullo sfondo, il film è sostenuto dalla regia stilizzata del britannico Guy Ritchie, reduce dai due Sherlock Holmes. Il rapporto tra i tre protagonisti è ben tratteggiato, non mancano le trovate visive, con uno sguardo deliziosamente retrò, venate da sottile humour tipicamente anglosassone ed un lieve e sfumato erotismo.
Le dinamiche narrative, però, ricalcano troppo gli stilemi di un prodotto televisivo e tendono ad essere noiose e ripetitive tra dialoghi, spiegoni, controspiegoni, eccessivo intimismo a scapito di sequenze action che denotano poca inventiva. L’intreccio è un po’ troppo cervellotico e basato, in maniera legittima, su alcuni clichè del genere. Funzionale la presenza del sempre carismatico Jared Harris mentre non si capisce cosa ci stia a fare nel film Hugh Grant. Presente nel cast anche il nostro Luca Calvani.
Il film sta registrando un brutto flop al botteghino. E’ raffinato in ogni sua componente formale, regia, scenografie, costumi, montaggio, musica, tutto estremamente ben curato, ma la storia s’incarta e il ritmo resta sempre piatto. Una bella cartolina di Roma anni ’60 e una delizia per gli esteti. Però che noia.