Orfani – Ringo n. 11: Death Metal – Recensione
Pubblicato il 11 Agosto 2015 alle 09:37
Lasciata l’Italia e giunti in Svizzera, Ringo, Rosa, in dolce attesa, e Nuè devono attraversare il tunnel stradale dell’innevato San Gottardo. Oltre una barricata di automobili i nostri trovano una piccola comunità di sopravvissuti che non osano avventurarsi nel mondo esterno. Nel frattempo, i Corvi sono in agguato e pronti al sanguinoso scontro finale.
Quando vedi la luce in fondo al tunnel, forse è un treno che arriva. Come la Compagnia dell’Anello tolkieniana che rinunciava ad inerpicarsi sulle asperità imbiancate del Caradhras decidendo di percorrere le oscure e pericolose miniere di Moria, Ringo e i suoi orfani si avventurano nella più prosaica galleria del San Gottardo in un ingorgo di auto distrutte e abbandonate tra le quali è rifugiata un’umanità remissiva che si rifiuta di uscire dall’oscuro ma rassicurante grembo materno.
La sceneggiatura a quattro mani dell’albo regge sulla dicotomia che sta decretando il successo di questa seconda stagione ormai in dirittura d’arrivo, costituita dall’equilibrio tra la predilezione all’action di Roberto Recchioni, creatore della serie, e il tono più intimista di Mauro Uzzeo. A tradurre i testi ci sono le matite di Giancarlo Olivares con un tratto minuzioso che mescola il tipico realismo bonelliano alla plasticità del fumetto USA con suggestioni dalla ligne claire esaltate, ovviamente, dai colori di Alessia Pastorello.
Il lettore si addentra nel tunnel in un inospitale blu gelido dalle sfumature violacee trovando poi i colori più caldi della pacifica comunità. In quest’utero accogliente spiccano gli occhioni neri del bambino che funge come uno dei motori emotivi della storia. Uno sguardo che penetra dolcemente nel cuore del lettore, in maniera anche ruffiana, in contrasto a quello affilato del cinico e saggio Ringo.
Dopo freddo e calore arriva la fiammeggiante esplosione cromatica dei combattimenti, coreografati con gag action che denotano un’inventiva senza precedenti nella serie, arricchiti dallo splatter e accentuati nel dinamismo dalle linee cinetiche. Olivares apporta una tangibilità inedita agli elementi fantatecnologici magnificati da splash-page e vignettone con alcune sequenze nel finale davvero spettacolari e mozzafiato. Scene da leggere ascoltando del buon death metal che dà il titolo alla storia, come Rock ‘n’ roll era il titolo dell’albo conclusivo della prima stagione. Richiama la battaglia anche la cover di Emiliano Mammucari in puro stile western, genere caro a Recchioni.
La seconda parte dell’albo denota tre autentici colpi di scena. E’ ormai chiaro che questo finale di stagione segua la falsariga della precedente circa il destino dei protagonisti e la condizione di Rosa rende forse prevedibile uno dei momenti cruciali della storia. Tuttavia, il parallelismo imbastito tra la ragazza e Nuè è efficace. Entrambi si fanno carico di un bambino ma l’uscita dal tunnel, dal ventre materno, diventa un doloroso, simbolico aborto.
“Tutto quello che inizia, finisce”, dice la Juric. Non sembra solo un riferimento al concludersi ormai prossimo di questa seconda stagione. Solo il più forte, il più adatto, si spinge alla fine di un tunnel che, da illusorio nascondiglio, diviene un budello infernale. Metafora di un’adolescenza che termina prematuramente nel cinismo del genere young adult.