Mission: Impossible – Rogue Nation – Recensione
Pubblicato il 3 Agosto 2015 alle 23:26
Ethan Hunt e la sua squadra dell’Impossible Missions Force intercettano un carico di gas nervino venduto ai terroristi. Ethan è ora convinto di poter smascherare il Sindacato, un’associazione criminale internazionale composta da ex-agenti operativi. Nel frattempo, la CIA decide di smantellare l’IMF, ormai considerata un’organizzazione canaglia. Diventati dei ricercati, Ethan e compagni dovranno affrontare da soli quella che potrebbe essere la loro ultima missione impossibile.
Mission: Impossible è sempre stato la risposta americana all’inglese James Bond e questo quinto episodio della saga è quello che più si avvicina agli stilemi di un film di 007. Dopo il buon riscontro di Jack Reacher – La prova decisiva (di cui è in arrivo il sequel), il regista Christopher McQuarrie torna a collaborare con Tom Cruise che si conferma tra i più collaudati eroi del cinema action contemporaneo, capace di sostenere il ruolo di Ethan Hunt da ormai quasi un ventennio.
McQuarrie ha il coraggio di giocarsi la scena più iconica già nel prologo, ampiamente sfruttata anche in fase promozionale, con Tom Cruise, e non uno stunt, aggrappato al portello di un aereo in corsa sotto le note del mitico tema musicale della saga, qui riarrangiato da Joe Kraemer. Prende così il via lo scontro tra l’IMF e il Sindacato, un po’ Spectre e un po’ Hydra della Marvel. La trama sarà il consueto girotondo di spie doppiogiochiste e informazioni da rubare ma sostenuto da spassose scene d’azione e ritmo incalzante.
Ad affiancare Ethan Hunt c’è di nuovo Simon Pegg, la spalla perfetta. Il suo Benji apporta infatti sia la funzionalità del nerd esperto di tecnologia che la leggerezza di una componente comedy sempre moderata. Rebecca Ferguson è la perfetta Bond-girl, ambigua, tosta, sexy, senza essere il pretesto di prevedibili risvolti sentimentali. La sottotrama inerente lo smantellamento dell’IMF da parte della CIA poteva forse essere sviluppata meglio e finirà per non avere grossa importanza. In tal senso Jeremy Renner fa il minimo sindacale, Alec Baldwin ha poco più di un cameo e Ving Rhames è totalmente inutile.
Memorabile ed avvincente la lunga sequenza action-thrilling ambientata nell’Opera di Vienna, che può ricordare il finale de Il Padrino III. McQuarrie fa parlare solo la sua regia accompagnata dalla musica della Turandot. Letteralmente mozzafiato la scena che vede Hunt espugnare un server subacqueo. Il regista è bravo a lasciare che il funzionamento di tutti i gadget fantatecnologici del film sia spiegato esclusivamente dalle immagini. Viene anche trovato un buon pretesto per ridurre al minimo l’uso delle maschere troppo abusato negli episodi precedenti.
L’inseguimento stradale in Marocco è adrenalinico al punto giusto, senza le esagerazioni di un Fast & Furious, e le sequenze di combattimento sono coreografate a dovere. In un film che richiama fortemente gli stilemi bondiani, il finale non poteva che svolgersi a Londra. Qui l’action viene messa quasi del tutto da parte per lasciar spazio a thrilling e a qualche trucchetto vecchia scuola sempre efficace.
Un episodio di Mission: Impossible che rispetta tutti i canoni della saga, non riserva certo idee nuove e un’ulteriore limata alla sceneggiatura poteva essere data, ma è uno spettacolo robusto, diretto con grandissimo mestiere, che fa il suo dovere come pop-corn movie e ci restituisce un Tom Cruise sempre in gran forma. Uno dei migliori blockbuster di quest’estate.