Lo Scultore, di Scott McCloud – una recensione
Pubblicato il 28 Luglio 2015 alle 11:37
David Smith ha promesso di diventare un grande scultore, ma nulla sembra andare per il verso giusto. Quando ormai ha toccato il fondo, gli si presenta un’ultima possibilità: un patto con la Morte. La sua vita in cambio del suo sogno.
Poco più che un ragazzo, David Smith vive a New York, senza famiglia e quasi senza amici. Come il suo celebre omonimo, il grande maestro di Decatur, David Smith è uno scultore, ma ignorato da tutti, senza successo, senza futuro. Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno lo trascorre affogando la sua amarezza nel whisky e nella birra, seduto in una tavola calda dove sta buttando via gli ultimi spiccioli che gli sono rimasti. Ad un tratto qualcuno lo riconosce. È Harry, un vecchio zio di sua madre, che lo saluta calorosamente e tenta in tutti i modi di tirargli su il morale.
David impiegherà parecchi minuti a ricordarsi dove aveva visto per l’ultima volta lo zio: al suo funerale. Egli, infatti, non è chi sembra, bensì la Morte in persona, che ha assunto l’aspetto del vecchio Harry per proporre a David un patto: il trionfo artistico, l’immortalità, la gloria imperitura in cambio della sua vita. Il giovane scultore non ha esitazioni. Accetta e l’accordo è fatto.
Da quel momento, avrà duecento giorni esatti per far fruttare il dono dello zio Harry, alias la morte, ossia la capacità sovrumana di poter plasmare a piacimento qualsiasi materiale con le proprie mani, come fosse cera calda che obbedisce ai suoi desideri. Ha inizio così una forsennata corsa contro il tempo per il conseguimento della fama tanto agognata da David. Ma qualcosa d’imprevisto accade, un incontro ancora più speciale, quello con la solare, meravigliosa Meg, che irrompe come una valanga nella vita di David e stravolge quelle che aveva creduto essere le sue assolute priorità.
Scott McCloud è famoso in tutto il mondo come critico ed esperto di fumetti. Le sue opere di analisi della nona arte sono pietre miliari imprescindibili per qualunque appassionato; tra queste spicca la trilogia composta da Capire il Fumetto (vincitore di un Eisner Award e del Prix de la critique del Festival di Angoulême), Reinventare il Fumetto e Fare il Fumetto, dove esprime la sua concezione di un’arte chiara, precisa, organizzata, quasi scientifica, eppure anche sospesa tra certezza e visione, tra ispirazione e programma.
Lo Scultore non è la prima opera narrativa di Scott McCloud, che già aveva mostrato la sua inventiva nella serie supereroistica Zot! e nel parodico Destroy, ma è di certo la più profonda, la più completa e intima.
La storia di David Smith, dell’artista alla disperata ricerca di un riconoscimento che gli sembra negato da una sorte crudele e ingiusta, affonda infatti le sue radici nella giovinezza dello stesso autore, che -come ha affermato egli stesso durante la presentazione del volume edito da Bao Publishing alla Libreria Feltrinelli di Roma, lo scorso 21 aprile- ne concepì la trama già venticinque anni fa, per poi riprenderla cinque anni fa e portarla alla luce soltanto ora.
Un lungo e intenso periodo di gestazione per una graphic novel che è dunque cresciuta e maturata assieme al suo autore, raccogliendone le riflessioni ed esperienze, le memorie e le scoperte. Ne Lo Scultore, infatti, forte è l’elemento autobiografico, a partire da un livello “superficiale”, quello dei personaggi, per spingersi poi nell’anima stessa del fumetto e nei significati che esso racchiude.
Dalle parole dello stesso McCloud impariamo come Ivy, la moglie dell’autore, sia la fonte di ispirazione principale per Meg, la ragazza dolce, imprevedibile e generosa che salva David dall’autodistruzione, e che deve il nome alla sorellina morta neonata della stessa Ivy. Lo stesso David racchiude nella propria complessa e combattuta personalità un po’ di un caro amico di famiglia e un po’ di Scott McCloud stesso, nei primi anni della sua vita artistica.
Vita. Questa parola è l’essenza de Lo Scultore, un fumetto, un romanzo, un’epopea che ha come protagonista la vita umana, la sua crudeltà e la sua dolcezza, le sue mille prove, le sue infinite possibilità. Ma anche Morte e Arte, Destino e Sorte, Amore, Oblio, Memoria, Gloria.
La parabola dei 200 giorni di David, del suo amore incontenibile per Meg e della sua altrettanto infinita passione artistica, è un grandioso affresco di dolente bellezza che tiene il lettore immerso nella lettura di tutte le 496 pagine dell’opera, ma che, allo stesso tempo, lo fa sostare spesso tra una vignetta e l’altra per meditare sulle tante domande che l’autore pone a lui, a sé e a tutta l’umanità.
Ha senso affannarsi per lasciare un’impronta in questa vita terrena? Ci attende qualcosa dopo quella morte che è inevitabile, indomabile, imprevedibile e sempre, qualunque cosa facciamo, spaventosa?
La storia di David, del suo incontro con la Morte e, poco dopo, con la Forza uguale e contraria, l’Amore che gli ridona la gioia di vivere, per quanto eccezionale e tinta di fantastico, assume i caratteri di un simbolo ed un emblema. Scott McCloud riesce ad infondere in essa quelli che sono tutti i tormenti di un’anima, dimostrando un eccezionale talento nel rappresentare a parole, immagini e colori tutte le sfumature di una vita: comiche, tragiche, gloriose, quotidiane, banali, sorprendenti, entusiasmanti, strazianti, misere, epiche.
E lo fa correndo su due binari narrativi, che si intrecciano e alternano, ma si mescolano solo nell’atto finale: da una parte la relazione con Meg, il tentativo di trovare una felicità, una serenità e una pace interiore che David non aveva più conosciuto da quando tutta la sua splendida famiglia l’aveva lasciato; dall’altra l’accordo stretto con lo zio Harry, il tempo che corre, la carriera artistica che non decolla, nonostante l’incredibile potere racchiuso nelle sue mani toccate dal dito bianco della Morte.
Lo Scultore è, perciò, anche una riflessione sull’Arte, sul suo ruolo nel mondo e nella società, sulla sua utilità e coerenza. Esistono Assoluti? Esistono opere “Belle”? Questo si chiede disperatamente David Smith di fronte all’ennesima stroncatura della sua arte, rifiutandosi di credere che siano i soldi, le conoscenze e le raccomandazioni a creare un grande artista e a rendere il suo nome leggenda.
David rimarrà fino all’ultimo perso in questi dilemmi, cercando di accettare l’assurdità del volere l’elogio del grande pubblico a tutti i costi, ma, allo stesso tempo, soffrendo ogni volta che la sua arte viene trascurata e disprezzata. E Meg questo lo percepisce, arrivando a promettere al proprio ragazzo che, un giorno, “Il sole sorgerà e tramonterà con David Smith.”
Ma questo non la renderà comunque schiava e succube di tale gloria, perché la libertà della vita vola più alta di qualunque egoistica pretesa.
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Ciò che affascina di più de Lo Scultore è proprio questo suo porsi a ritratto dell’esistenza umana, del suo scorrere e divenire dall’inizio fino all’inevitabile fine. Letto da questa prospettiva, come grande romanzo esistenziale e di ricerca del senso ultimo delle cose, l’elemento soprannaturale e fantastico – l’incontro con la Morte personificata e il successivo dono del potere di modificare la materia in cambio di ciò che resta della vita di David – appare quasi superfluo, un accessorio non indispensabile alla completa realizzazione del capolavoro di Scott McCloud.
Tanto più all’emergere, nel corso della narrazione, dell’invito rivolto a David (ma anche ad ogni lettore) di non ostinarsi a cercare nelle cose eccezionali le proprie verità e la propria felicità, bensì scavando nel profondo e comprendendo il significato di ciò che ci circonda e che spesso consideriamo scontato ed inutile. Come la vita. Come i nostri cari. Togliendo tale elemento di fantastico, sostituendolo, ipotizziamo, con una malattia improvvisa e incurabile che colpisse David lasciandogli poco tempo per realizzare i propri sogni, si sarebbe snaturata l’essenza dell’opera di McCloud? Se ne sarebbe afferrata più agevolmente la natura e i significati?
Di certo il fumetto avrebbe perso spettacolarità: le scene in cui il prodigioso artista plasma le proprie sculture tuffandovi le mani, le braccia, tutto il corpo, fondendosi con la materia a cui sembra mescolare la sua stessa anima, sono composizioni di grande suggestione ed impatto. Ma che Scott McCloud possegga un talento fumettistico che vada ben al di là della capacità di analizzarlo e studiarlo come mezzo artistico ed espressivo appare chiaramente anche nel sapiente utilizzo dei colori, o meglio, del colore, quel Pantone 653, quell’azzurro carta da zucchero che pervade l’opera.
Combinandolo al nero e al bianco, l’autore crea un mondo precisissimo, che risulta però inevitabilmente inondato da un sole freddo, indifferente come la folla senza volto che calca le strade di New York, gelido e incorruttibile, come lo sguardo dello zio Harry che svolge il proprio spietato incarico, profondo come il mare dell’abbraccio in cui Meg e David vorrebbero affondare. Un impianto cromatico di grande effetto dentro cui si muovono le piccole figure di uomini e donne che Scott McCloud realizza umili, semplici, individuali eppure tutto fuorché straordinari. Volti con pochi tratti ma carichi di emozioni. In una parola: umani, per quanto possa esserlo un gomitolo di linee bidimensionali.
Lo Scultore è già un film, di quelli che non ti lasciano andare, nonostante la durata, nonostante il peso, e che lasciano nella memoria un’eredità di domande da cui è impossibile fuggire e che per giorni e giorni ti accompagneranno.
La scienza di Scott McCloud vi è infusa fino all’ultimo pensiero espresso nelle opere di critica che hanno preceduto questa graphic novel formalmente ineccepibile, ma che possiede anche la forza di una storia in cui l’autore ha messo in gioco tutto senza stesso e le sue esperienze, senza timori e senza compromessi, sincero, generoso.
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Una trama che nasce da uno spunto classico, ma che, come i classici, che non muoiono mai, riesce a prendere slancio perché guarda con verità ai dubbi di ogni uomo. Vignette cariche di lucido pathos disposte sulla pagina con una maestria da giocatore di scacchi e che sanno aprirsi a più dimensioni grazie all’utilizzo di linee e colori che sfumano in primi, secondi, terzi piani, lontani ma sempre reali.
Cinque capitoli, duecento giorni, un protagonista che abita un mondo che non lo riconosce tale, proprio come nella vita reale, dove la nostra trama, il nostro finale, non possiamo indovinarli e, per quanto ci sforziamo di scolpirli come David fa con marmo e granito, saranno sempre fuori dal nostro controllo.
Lo Scultore, di Scott McCloud, assume così i tratti di un racconto epico moderno, uno scontro impari contro la paura di vivere e morire. Opera di grande valore artistico e umano, esso esemplifica il modo migliore in cui un artista può mettere a frutto il suo dono: condividere con gli altri ciò che è suo, partendo dal personale ed elevandolo a ciò che tutti vivono, all’universale.
Bao Publishing, che pubblica Lo Scultore in anteprima mondiale, aggiunge al suo catalogo un’altra opera di assoluto pregio, confermando il suo posto sul podio delle case editrici di fumetti più sensibili e illuminate del nostro paese.