Babadook – Recensione

Pubblicato il 20 Luglio 2015 alle 23:37

Amelia ha perso suo marito in un incidente stradale nel giorno della nascita di loro figlio Samuel. Sei anni dopo, la donna soffre la sua condizione di vedova e si occupa a fatica del bambino che ha problemi comportamentali, fatica a dormire, non socializza con gli altri, è aggressivo e ossessionato dall’idea che un mostro minacci lui e sua madre. Un giorno, Amelia e Samuel trovano in casa un misterioso libro sul Babadook, una sorta di uomo nero, e il bambino si convince che sia la creatura che li perseguita.

Babadook

Un mostruoso uomo nero che infesta una casa abitata da una vedova con il figlio piccolo. Sembra il concept di un convenzionale horror estivo e invece siamo di fronte ad un sottile, efficace thriller psicologico con funzionali venature horror che richiama alla mente pellicole come The Others e The Orphanage e segna l’esordio alla regia in un lungometraggio dell’australiana Jennifer Kent.

Il pubblico prova immediatamente disempatia per Amelia e Samuel. Difficile, quasi impossibile affezionarsi a questi due personaggi fortemente sgradevoli legati da un rapporto che ha del morboso. Il film punta subito i fari sui comportamenti asociali e molesti del bambino ma appare chiaro che la vera causa di tutto sia il disagio interiore della madre che grava sulla psicologia del figlio. A sua volta, le convinzioni di Samuel circa la presenza di un mostro turbano la già fragile condizione mentale di Amelia. Una sorta di insana simbiosi che s’insinua lentamente sotto la pelle dello spettatore creando un progressivo malessere.

Il Babadook diviene quindi il catalizzatore di questo crescente squilibrio nel quale vanno a fondersi le ossessioni dei due protagonisti. La regia intimista cattura da vicino le intense performance di una straordinaria Essie Davis e del giovanissimo Noah Wiseman. Tra le trovate visive, i riferimenti espliciti ai primi horror muti sono forse la parte più spaventosa del film. I disturbanti effetti sonori e la musica straniante di Jed Kurzel esprimono al meglio i risvolti psicologici della vicenda.

La spirale di follia conduce alla terrificante esplosione finale e, soprattutto, ad un epilogo ancor più agghiacciante nel quale il male che si nasconde nella mente di Amelia non risulta sconfitto bensì relegato in un angolo e pronto nuovamente ad esplodere. Angosciante e bellissimo.

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