True Detective 2: Recensione Episodio 1
Pubblicato il 24 Giugno 2015 alle 16:30
Su Sky torna la serie poliziesca salita alla ribalta un anno fa: nuovi personaggi, nuovi intrecci, nuovi dilemmi morali, ma sempre lo stesso mondo crudo, oscuro, realistico.
L’anno scorso i sibilanti e spettrali paesaggi paludosi della Lousiana hanno conquistato il pubblico di tutto il mondo, grazie anche ad una trama solida e adulta e a protagonisti d’eccezione interpretati da due attori di altissimo calibro, quei Matthew McConaughey e Woody Harrelson che hanno fatto ricredere anche i più scettici con performance indimenticabili. Quest’anno l’azione si sposta a nord-ovest, si fa polverosa e calda e va a bagnarsi sotto il torrido sole della California, nella contea di Los Angeles.
Se nella prima stagione la serie presentava due protagonisti (i detective Rust e Hart), la seconda stagione vede, rilancia e raddoppia: quattro i personaggi principali, le cui vicende si intrecceranno (presumibilmente) sulla caccia ad un nuovo serial killer.
Ancora non sappiamo molto a proposito dei protagonisti, ma questi primi sessanta minuti di True Detective 2 possono essere utili per farci un’idea (o ipotesi, per usare un termine più attinente alla sfera del poliziesco) di ciò che ci aspetta nei prossimi episodi: Ray Velcoro (interpretato da Colin Farrel) è un violento e corrotto detective dal torbido passato, che anni fa per vendicare lo stupro della moglie si è legato a doppio filo al losco imprenditore Frank Semyon (il bravissimo e versatile Vince Vaugh), col quale sembra aver instaurato un rapporto di amicizia; poi abbiamo la bellissima agente Ani Bezzerides (Rachel McAdams), dalla difficile situazione familiare, e infine l’agente della polizia di stato Paul Woodrugh (Taylor Kitsch), che nasconde alla propria ragazza profondi problemi emotivi (e anche la sua omosessualità?)
Personaggi tridimensionali, umani, mai perfetti nè tanto meno infallibili. Anzi è proprio il fallimento a marchiare le loro vite, vite strette nelle quali rimangono invischiati e che diventano trappole fatte di violenza e corruzione, alcolismo, rimpianti e sogni infranti (emblematica la frase con cui il detective Velcoro si apre al figlio vittima di bullismo: “Da giovane volevo fare l’astronauta, ma ormai neanche gli astronauti vanno più sulla luna”).
Il pilot, diretto da Justin Lin, scritto dal creatore della serie Nic Pizzolatto e intitolato The Western Book of the Dead, gira intorno alla scomparsa di un uomo, che Velcoro sta cercando sia per conto del proprio capo alla polizia sia per il criminale e amico Frank Semyon. Il destino ci mette lo zampino quando lo scomparso viene ritrovato morto dall’agente Woodrugh, e l’episodio termina con l’incontro dei tre poliziotti.
Menzione a parte per la colonna sonora dei titoli di testa: la voce bassa e cavernosa di Leonard Cohen intona Nevermind, dall’album Popular Problems, che sostiuisce l’apprezzatissima Far From Many Road del gruppo The Handsome Family vista nella prima stagione.
Ovviamente, se questo prodotto riuscirà ad avvicinarsi o a replicare il successo dell’osannata prima stagione, è ancora troppo presto per dirlo. Una cosa è certa: fare paragoni sarà anche lo sport preferito di molti, ma la natura antologica del drama creato da Pizzolatto non ci obbliga a farli. Il passato è passato, e anche se McConaughey e Harrelson hanno abbandonato lo show, avremo tanti altri fenomeni da goderci sullo schermo.
Ci sarà da divertirsi. Tutto il resto? Nevermind.