Recensione: The Walking Dead Vol. 1 – Giorni Perduti

Pubblicato il 14 Gennaio 2011 alle 12:09

Autori: Robert Kirkman (testi), Tony Moore (disegni)
Casa Editrice
: saldaPress
Provenienza
: USA
Prezzo
: € 12,50, 17 x 26, B, 144 pp., b/n

La serie televisiva omonima creata da Frank Darabont per la rete AMC è comparsa in TV (a pagamento) lo scorso Halloween, ma in questo breve lasso di tempo ha già collezionato numerose critiche positive ed è già diventata di culto. Ha anche goduto di una campagna pubblicitaria non indifferente, mentre invece il fumetto dal quale nasce, a suo tempo, nel 2003, era sbarcato nelle edicole timidamente, per poi cominciare un’ascesa inarrestabile, che l’ha portato a vincere Eisner ed Harvay Award e a raggiungere tre milioni di copie vendute. L’artefice di questi prestigiosi risultati è lo sceneggiatore statunitense Robert Kirkman, che allora si era fatto conoscere solo per il demenziale Battle Pope, realizzato in compagnia dell’altrettanto esordiente Tony Moore. Probabilmente nessuno all’Image si aspettava un successo del genere quando diedero loro carta bianca per una serie regolare sugli zombie, sottogenere ampiamente sfruttato dell’horror, che apparentemente non aveva più niente da dire. Invece ciò che Kirkman e Moore fecero fu proprio di riuscire a trovare una chiave di lettura originale per questo genere di storie. In realtà, come afferma nella prefazione (che sembra più una dichiarazione d’intenti) del volume, l’obiettivo era di utilizzare i non-morti come un pretesto, una metafora del male che colpisce la società fino a stravolgerla, fino a mostrare la sua parte più mostruosa.

Per il protagonista Rick Grimes, agente di polizia ferito in servizio, caduto in coma e risvegliatosi in un mondo stravolto, la minaccia delle creature non assume la forma di una battaglia splatter vuota e sanguinolenta, bensì una lotta per la sopravvivenza. In una realtà compromessa e pericolante deve trovare il modo di badare a sé stesso e alla sua famiglia, di prendersi cura dei più deboli, semplicemente di non morire. Quest’assunto apocalittico ricorda in realtà un fumetto della Vertigo iniziato l’anno precedente: Y: L’ultimo Uomo. Senza scendere nei particolari anche qui un ragazzo sopravviveva alla morte di quasi tutto il resto del genere umano, ma nel fumetto di Brian K. Vaughan erano più marcate la componenti spionistiche, politiche, scientifiche, sessuali… In The Walking Dead non importa perché si sia giunti ad una situazione del genere, non si indaga, non ci sono sottotrame. La vita prima degli zombie dura una sola pagina, dalla seconda siamo già su Rick e la sua lotta nel nuovo mondo. E da lui non ci spostiamo mai, lo seguiamo nell’incertezza dei suoi primi passi, nella conquista della consapevolezza, nel suo viaggio alla ricerca della sua famiglia. Kirkman imbastisce una narrazione di tipo cinematografico, non spreca una vignetta, e mette sullo stesso piano gli occhi del protagonista e quelli del lettore, rendendo massima l’immedesimazione.

Tony Moore fa un lavoro eccezionale sfoggiando uno story-telling impeccabile, una concezione della tavola semplice ma efficace (con la particolarità delle vignette dai contorni “molli”), e improvvisi lampi di spettacolarità. È a suo agio con qualsiasi situazione, sia concitata che riflessiva, ed eccelle nell’espressività dei volti e del linguaggio del corpo, tanto che spesso lo sceneggiatore lascia che sia lui a farci percepire sensazioni e pensieri dei personaggi. Stupendo l’uso che fa dei toni di grigio (in collaborazione con Cliff Rathburn), che migliorano e danno profondità al bianco e nero, scelta comunque atipica per il mercato statunitense. Dal settimo numero la parte grafica è passata nelle mani del britannico Charlie Adlard, che non è al suo livello, ma lui ha continuato a realizzare le copertine della serie fino al numero 24. Questi primi sei rimangono comunque gli episodi meglio disegnati.

Il lavoro della saldaPress è ottimo, sia nella traduzione e nel lettering che nella veste editoriale, corredata da un interessante approfondimento. Non si percepisce il passaggio da un episodio all’altro, le storie trovano la loro naturale disposizione in volume, che si legge tutto d’un fiato, senza mai momenti di noia o cali d’interesse. Viene subito voglia di averne ancora, e questa è la miglior dote per una serie regolare. Kirkman è riuscito a rendere appassionante una vicenda di zombie che continua ormai da più di ottanta numeri, e l’ha fatto semplicemente mettendo al centro la parte umana in cui tutti ci possiamo riconoscere: usando i non-morti per parlare dei vivi. Ha realizzato un esperimento antropologico in cui un campione di umanità si trova a fronteggiare un’apocalisse dal quale, probabilmente, non c’è via di scampo. E tutti vogliamo morbosamente scoprire come va a finire.


Voto: 9

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