Il Trono Di Spade 5 – Finale: Recensione
Pubblicato il 17 Giugno 2015 alle 16:00
La quinta stagione finisce nel sangue.
Un uomo può scegliere di combattere per diversi motivi. Per l’onore, la famiglia, l’amore o l’orgoglio. Per difendere la propria patria o per conquistare quella di qualcun’altro. Per distruggere ogni cosa o per sconfiggere il male. Alla resa dei conti, però, ogni motivazione finisce col divenire futile ed effimera: perchè ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria. E a Westeros le reazioni, molto spesso, più che contrarie sono terribili.
Non importa quale sia il nome che accompagna la tua fama. Baratheon, Stark, Targaryen, Tyrell, Lannister. Snow. Nessuno può sfuggire al proprio destino. E qualunque sia la motivazione che ti spinge, non importa che alla fine tu riesca o fallisca: perchè nell’averci provato non c’è mai vergogna.
È la parola che viene ripetuta il maggior numero di volte nel corso dell’ultimo episodio. Vergogna. Otto lettere e tre sillabe che accompagnano senza pietà uno dei personaggi principali durante la scena più lunga – e più atroce – del finale di stagione. Vergogna. Per i peccati commessi, per i crimini perpetrati, per il sangue versato. Perchè ad ogni azione corrisponde una reazione.
Sia chiaro: la trama imbastita da George R. R. Martin non potrebbe essere più semplice. Tutti i personaggi desiderano ardentemente la stessa cosa, e combattono fra loro per ottenerla mentre uno spietato e inarrestabile nemico comune scende dal remoto nord con il malvagio obiettivo di soggiogare l’intera civiltà.
Sappiamo che, presto o tardi, quei personaggi che amiamo (o odiamo, perchè da queste parti niente è assoluto) dovranno mettere da parte i conflitti fra popoli e unirsi, come specie, per ricacciare gli Estranei nell’inferno di ghiaccio dal quale provengono. E a ben pensarci a far girare la ruota de Il Trono di Spade – quella stessa ruota che Daenerys ha giurato di voler distruggere – sono proprio quei personaggi, quei conflitti privati e quelle lotte intestine. Ma tutte queste cose sono futili, se paragonate alla minaccia che viene dal nord. Perchè l’inverno sta arrivando.
Durante l’intera quinta stagione, l’unico che è sembrato voler fare qualcosa a riguardo è stato Jon Snow, interpretato dal bravissimo Kit Harington. Figlio bastardo del Protettore del Nord, già dalla prima stagione avevamo capito che il giovane dalla chioma corvina era destinato a qualcosa di più grande: e infatti in The House of Black and White (il secondo episodio di questa epocale quinta stagione) è proprio lui che viene eletto novecentonovantottesimo Lord Comandante dei Guardiani della Notte, il più giovane di sempre a ricoprire tale carica. Ed è sempre lui a farsi carico della difficile decisione di sancire la tregua con i Bruti, accogliendoli al di qua della Barriera con l’intento di salvarli dall’arrivo degli Estranei.
In Hardome, considerato quasi all’unanimità come il miglior episodio mai realizzato nella serie, lo abbiamo visto combattere fianco a fianco dei Bruti per respingere – senza troppo successo – la forza inarrestabile degli Estranei e del loro esercito di non-morti. Nel corso di quella disperata missione, Jon era riuscito ad uccidere uno degli Estranei, ma aveva anche condannato a morte tantissimi, troppi dei suoi soldati. Una vittoria pirrica o un’azione disperata? Poco importa. Perchè ad ogni azione corrisponde una reazione.
Ne sa qualcosa Stannis Baratheon, che accecato dalla sete di potere ha sacrificato la propria figlia sul rogo del Dio del Sole nella struggente sequenza vista in The Dance of Dragons. E Cercei Lannister, la cui vita peccaminosa non ha fatto che condurla nelle marciscenti prigioni dell’Alto Passero, da regina a prigioniera in una parabola discendente fatta di lacrime e dolore. Stessa cosa per Arya Stark, alla fine punita per quell’indole ribelle sempre perdonata dal padre.
L’unica ombra di lieto fine inizialmente sembra riservata a Jamie Lannister (forse l’unico personaggio che con una repentina inversione ad U è passato dall’essere odiato a nuovo beniamino del pubblico) che però non ha neppure il tempo di assaporare la vittoria che subito la vede evaporare sotto i cocenti raggi del sole di Dorne.
Al peggio non c’è mai fine, si dice, e nel mondo fantasy di Martin sembra essere esattamente così. Chi segue la serie dall’inizio, infatti, lo sa molto bene. Ne Il Trono di Spade c’è una sola regola: chiunque è importante – perchè tutti possono fare la differenza – eppure nessuno è indispensabile.
L’unica cosa che conta è la Storia, e i personaggi che ne fanno parte sono lì con l’unico scopo di farla andare avanti. Anche quando per uno di loro arriva la fine, la Storia accoglie con soddisfazione l’ennesimo sacrificio di sangue e poi prosegue senza voltarsi indietro. E’ la vera protagonista de Il Trono di Spade, la Storia: crudele e spietata e imprevedibile.
Ed è proprio l’imprevedibilità la benzina che alimenta il motore della Storia. Permea ogni episodio di ogni stagione, tanto che in molte scene sappiamo che è lì, dietro le quinte, in agguato. Quello di prevedere l’imprevedibilità può sembrare un paradosso, ma non è così: quando il cuore arriva a martellarci nella gola, quando temiamo che da un momento all’altro accadrà l’irreparabile … è lì che si annida l’imprevedibilità, nascosta dietro gli angoli dell’incertezza.
E quando – finalmente o purtroppo – l’irreparabile avviene, e il cuore si ferma, e le bocche si spalancano, e gli occhi si sbarrano e col fiato sospeso restiamo immobili e increduli, la Storia continua la sua inarrestabile marcia lasciandosi dietro i caduti. Noi, ancora sconvolti, possiamo scegliere se continuare ad andare avanti, e lo facciamo, stoici e sicuri che il peggio sia ormai passato. Certi che d’ora in avanti le cose potranno solo migliorare, e che non assisteremo più a simili orrori.
Ma non è così. Perchè l’inverno sta arrivando.