Doujinshi: il loro futuro è in pericolo?

Pubblicato il 22 Maggio 2015 alle 16:00

Le fanzine giapponesi, in cui appassionati (ma anche famosi autori) disegnano storie “pirata” ispirate a celebri manga e anime, sono messe in pericolo da un accordo economico internazionale.

Senza le doujinshi (letteralmente “Riviste di persone con gli stessi interessi”) probabilmente oggi non conosceremmo Rumiko Takahashi (Lamù, Inuyasha), Koshi Rikdo (Excel Saga), Monkey Punch (Lupin III) e tanti altri mangaka che hanno iniziato la loro carriera su questi albetti stampati in proprio e venduti solitamente in occasione di raduni di appassionati (il più famoso dei quali è senza dubbio il Comiket) o, negli ultimi anni, in distribuite in rete.

Non è difficile trovare online neanche le traduzioni in italiano di queste storie che prendono personaggi di anime e manga in voga e li usano per racconti inedite o di generi altri rispetto a quelle dell’opera originale, come ad esempio i lati romantici dei protagonisti degli shonen; e ovviamente le doujinshi hentai sono tra le più diffuse. L’economia che gira intorno a queste pubblicazioni è enorme: il già citato Comiket, mercato che si tiene a Tokyo in cui i “circoli” di fumettisti amatoriali vendono le loro doujinshi, è forse la manifestazione fumettistica più grande del mondo e richiama ad ogni edizione centinaia di migliaia di persone (quasi 600.000 nell’estate 2013; manga come La figlia dell’otaku offrono interessanti spunti sul Comiket e sul mondo delle doujinshi).

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La folla fuori dal Comiket.

I problema è che le doujinshi sarebbero illegali: i personaggi sono riprodotti senza il permesso dei detentori dei diritti ma all’intero movimento è stato concesso di vivere in una “zona grigia” dalle case editrici, probabilmente più interessate a sfruttare la popolarità e i nuovi lettori che le riviste amatoriali potrebbero portare ai loro prodotti che a denunciare la violazione della legge sul copyright (senza contare che numerosi mangaka, come Kazushi Hanagiwara di Bastard!! e Ken Akamatsu di Love Hina, arrotondano vendendo doujinshi delle loro stesse opere).

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Venditori di doujinshi al Comiket.

Questo però fino ad oggi: in Giappone sono da poco entrate in vigore le norme contenute nel Trans-Pacific Partnership, un accordo economico tra paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico che prevede tra le altre cose l’inserimento della violazione del copyright tra i reati perseguibili anche senza una denuncia precisa della vittima; in pratica, anche se la casa editrice non denuncia l’autore di una doujinshi, da ora le autorità possono comunque muoversi in autonomia per bloccarne la produzione e la diffusione. Inutile dire che la vicenda ha scatenato polemiche e causato preoccupazione tra autori e appassionati, tanto che a sorpresa lo stesso governo giapponese è intervenuto con una conferenza per cercare di rassicurare tutti che poco cambierà.

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La mossa ha però convinto solo in parte e c’è già chi lamenta la fine di quella che è stata una componente importante della cultura e dell’intrattenimento giapponesi per molti anni; altri però vedono una maggiore regolarizzazione delle doujinshi come un’opportunità per riportare il movimento ad una dimensione più gestibile e contro l’eccessiva commercializzazione attuale, auspicando un futuro in cui la diffusione avvenga solo online e gratuitamente. Una situazione non facile per l’industria e le autorità nipponiche; per ora le doujinshi sembrano al sicuro, ma per queste pubblicazioni da decenni palestra per giovani autori e valvola di sfogo (o fonti alternative di guadagno) per affermati professionisti è indubbiamente alle porte un cambiamento epocale.

(Immagini da ready-up.net e bartman905)

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