Starting Point N. 2: In principio fu… l’immagine

Pubblicato il 10 Gennaio 2011 alle 11:00

Ben ritrovati, in questa seconda puntata di “Starting Point” (e nella prossima) parleremo di “wordless comics” (fumetti senza parole), cercando di offrirvi una panoramica quanto più esaustiva possibile dell’argomento, partendo dalla nascita del genere fino ai giorni nostri, provando così a darvi gli strumenti e le conoscenze necessarie per iniziare ad addentrarsi in un mondo purtroppo poco conosciuto ma decisamente ricco di opere notevoli.

Questo particolare tipo di fumetto nasce negli anni ’20 e ’30, in seno al revival della xilografia (incisione su legno), grazie all’opera di autori europei ed americani come Frans Masereel , Lynd Ward, Giacomo Patri, Otto Nuckel, Laurence Hyde o Milt Gross, oltre al surrealista Max Ernst che pubblica “Une semaine de bonté” , interessante montaggio di illustrazioni tratte da romanzi vittoriani, organizzate in sezioni corrispondenti ai giorni della settimana e dedicate ognuna ad un particolare elemento e disposte in modo da formare una storia. Con queste prime opere ci troviamo al confine tra due forme d’arte: quella dell’illustrazione, ricordano infatti la raccolta di incisioni per quanto riguarda la presenza di una sola vignetta per pagina, e quella del fumetto, con cui condividono la sequenzialità delle tavole che acquistano significato in relazione alle precedenti e alle successive, raccontando così una storia. Vengono tuttavia considerate come antecedenti del graphic novel (Will Eisner cita proprio Ward come uno dei suoi principali riferimenti), di fatto, vista l’assenza di testo e la natura narrativa, sono letteralmente dei “romanzi grafici”! Per chi volesse approfondire questi aspetti consiglio la lettura del bel libro di David Berona “Wordless Books” e l’introduzione di Art Spiegelman, l’autore di Maus, ai volumi della “Library of America” dedicati all’opera di Lynd Ward (di questa edizione parlerò ampiamente più avanti).

Vedremo adesso e nella prossima puntata nel dettaglio le opere di alcuni di questi autori e dei loro successori, maestri del fumetto come Jason, Thomas Ott, Manu Larcenet o Lewis Trondheim, oltre ad approfondire l’importante lavoro di promozione del fumetto “muto” svolto in Italia ed Europa da case editrici come “Q Press” o da manifestazioni come “Bolzano Comics”.

Frans Masereel

L’opera del belga Frans Masereel si rifà a maestri dell’incisione come Durer o Dorè e presenta tematiche sociali affrontate in un’ottica chiaramente influenzata da idee comuniste e pacifiste (motivo per cui i suoi lavori verranno messi al bando dai nazisti) e dalla lettura degli scritti di Mann (che scriverà molte prefazioni ai suoi libri) e Zola.

La più importante opera sequenziale è “The City” (“Die Stadt” 1925), racconto di una giornata qualunque a Parigi (ma potrebbe essere tranquillamente ambientato in una qualsiasi città del mondo). In questo lavoro Masereel ci presenta un intrecciarsi di storie di vita quotidiana scandito dal meccanismo della contrapposizione, ci vengono mostrate infatti immense folle e profonda solitudine, ricconi opulenti e barboni malati ed affamati, scene di morte, spesso violenta, e nascite, studiosi solitari e operai alienati. Questo gioco di contrapposizioni non fa altro che sottolineare come, alla fine, tutti questi personaggi, apparentemente così diversi tra di loro, siano in realtà legati da un destino comune, intrappolati nella pancia dello stesso terribile mostro che li ha fagocitati e gli impone i propri ritmi: la città. “The City” lo trovate sia su Amazon (nell’edizione inglese) che integralmente sul sito Graphic Witness, nel quale trovate anche immagini di altre opere di Masereel.

Degli altri suoi lavori nel campo dell’arte sequenziale (una cinquantina) merita una menzione “Die Idee” (“L’idea”, 1920, contenuta nel volume “The Sun, The Idea & Story Without Words”, insieme ad altri due graphic novel di Masereel, si trova su Amazon), storia di un’idea sfuggita ad un pensatore e partita per il mondo alla ricerca di qualcuno che la capisca. Durante le sue avventure cerca in tutti i modi di farsi ascoltare, senza però riuscirci, viene anzi inseguita da militari e poliziotti e le opere su cui “si era scritta” vengono bruciate. Nonostante ciò, però, riesce a sopravvivere e restare libera, nutrendo così la speranza che lei stessa o altre idee generate dal “padre pensatore” possano un giorno essere accettate dagli altri uomini.

Otto Nuckel, Lynd Ward, Giacomo Patri, Laurence Hyde, Palle Nielsen
Dopo Masereel, padre del “fumetto senza parole”, vi presento in un unico paragrafo questi cinque artisti attivi negli anni ’30, ’40 e ’50, accomunati da tecniche, influenze e tematiche simili e responsabili, insieme al succitato Masereel, del successo del genere in quegli anni.

 

Il tedesco Otto Nuckel per il suo romanzo grafico Destiny(1929, ri-edizione inglese rintracciabile su Amazon) non utilizza la xilografia come Masereel, bensì la zincografia, tecnica che gli permette di creare immagini più eleganti, grazie anche alla presenza di toni di grigio che danno corposità alle ombre. La storia ci mostra, con un andamento ondivago fatto di alti e bassi, fotogrammi (presi da inquadrature sempre diverse ed originali) della vita di una prostituta, dalla morte dei genitori fino ad un tragico e ineluttabile finale. I toni sono quelli di denuncia sociale già visti in Masereel, ma tali tematiche sono trattate in un’ottica centrata, a differenza del primo, più sull’individuo che sulla società in generale.

Dopo Masereel il più famoso autore di romanzi composti da xilografie è senz’altro l’americano Lynd Ward, autore di 6 opere di questo tipo, capace di portare il genere ad una popolarità tale da spingere un genio del fumetto come Milt Gross a dedicargli una parodia, anch’essa senza parole: “He Done Her Wrong: The Great American Novel” (pubblicato nel 1930, parodizza anche i film muti melodrammatici che stanno alla base dei wordless comics).

I primi due lavori di Ward: “Gods’ Man” (1929) e “Madman’s Drum” (1930) condividono il tema dell’oggetto maledetto, nel primo si tratta di un pennello magico scambiato da un “losco figuro” con un artista, in cambio della firma di un contratto di cui non si conosce la natura, nel secondo, invece, la maledizione è legata ad un tamburo rubato ad un ragazzo africano da uno schiavista senza scrupoli, maledizione che colpirà il figlio di quest’ultimo.

Il lavoro a mio avviso più interessante di Ward è però “Wild Pilgrimage” del 1932, opera in cui l’autore mostra il sentimento, piuttosto diffuso all’epoca, di rifiuto e senso di oppressione rispetto alla vita nella città moderna (tema come abbiamo visto già sviluppato da Masereel, il quale è il riferimento principale di Ward) e lo fa attraverso la storia di un uomo particolarmente brutto che decide di cercare una nuova vita fuori dalla città. L’innovazione più importante è quella dell’utilizzo di un colore diverso, il rosso, per le tavole che raffigurano i sogni e i desideri dell’uomo e che cozzano con la realtà per niente idilliaca ed anzi crudele della campagna, fin quando, sollevato il velo di Maya, non si trasformano anch’essi in incubi terribili derivati dalle raccapriccianti immagini della realtà.

Una menzione la merita anche “Vertigo”, lavoro del 1937 considerato da Will Eisner come importantissimo apripista del graphic novel vero e proprio e ricco di temi e suggestioni grafiche seminali.

Tutte le opere di Lynd Ward le trovate in un bellissimo cofanetto contenente 2 volumi pubblicato dalla “Library of America” e disponibile su Amazon.

Genovese, emigrato in America appena diciottenne, Giacomo Patri nel suo “White Collar” (romanzo grafico del 1938 realizzato con la tecnica della linografia, incisioni su linoleum) descrive la storia di un uomo della piccola borghesia americana in cerca di successo. La data che apre il fumetto ci fa da subito presagire quale sarà l’esito della vicenda, siamo infatti nel 1929 e la grande depressione incombe mortalmente sull’America, il protagonista infatti vede quasi da subito infranti i suoi sogni di carriera e si vede anzi licenziato e costretto ad aprire una piccola attività.

Dopo poco tempo, però, anche questa seconda chance costruita con grandi sacrifici naufragherà, schiacciata dall’imbattibile concorrenza di una catena di negozi, precipitando, di nuovo, il nostro protagonista nella disperazione e nell’angoscia delle bollette da pagare. La nascita di un terzo figlio, poi, non farà altro che aggravare la situazione e lo costringerà a scelte estreme, tra cui l’accettare un massacrante lavoro come impiegato (“colletto bianco”). In questa situazione di sfruttamento il nostro inizia ad avvicinarsi alle idee socialiste e si libera finalmente dal “colletto bianco” per ripartire da zero nella miseria più assoluta con la speranza di un riscatto attraverso la lotta di classe (siamo intanto arrivati al 1933, anno dell’elezione del democratico Roosvelt e dell’inizio del New Deal).

Crude immagini di realtà vengono intervallate da surreali scene da incubo (contraddistinte da un inchiostro rosso, come già aveva fatto Lynd Ward nel suo “Wild Pilgrimage” del 1932) che scandiscono i vari momenti della storia, riassumendo in una sola tavola lo stato d’animo, le paure e le angosce del protagonista, fino alla catarsi finale. Su internet trovate la versione integrale su questo sito, oppure potete comprare l’antologia “Graphic Witness” in cui è contenuto anch’esso.

L’unico romanzo grafico dell’inglese, ma canadese di adozione, Laurence Hyde è “Southern Cross” del 1951 (lo trovate sia nell’edizione omonima della Drawn and Quarterly che nell’antologia “Graphic Witness” della Firefly Books, insieme a “The Passion of a Man” di Masereel, “White Collar” di Patri e “Wild Pilgrimage” di Ward), lavoro formato da 118 xilografie, che parte dalla storia di un pescatore del sud del Pacifico e della sua famiglia per denunciare duramente l’operato degli Stati Uniti riguardo ai test nucleari nelle isole dei mari del sud. La vicenda comincia con l’evacuazione degli abitanti di tali isole da parte dell’esercito americano e prosegue con l’omicidio di un marinaio ad opera di un pescatore nel tentativo di salvare la figlia da uno stupro, per concludersi con l’atroce morte degli indigeni a causa degli effetti della detonazione dell’ordigno nucleare e con la completa distruzione dell’atollo. Le tavole contrappongono la bellezza e la tranquillità del paesaggio, degli indigeni e della fauna autoctona rappresentate con linee sinuose e continue, all’aura mortifera degli “invasori” e della bomba, delineate con tratti spigolosi e linee spezzate.

Questo “Scenario: Visions from the End of Time” di Palle Nielsen, cominciato negli anni cinquanta e portato avanti fino al 2000, anno della morte dell’artista danese, rappresenta la summa di tutta la sua opera. L’accento viene posto, ancora una volta, sull’isolamento imposto da una società paranoica e caotica, “isolamento” ben diverso dalla “solitudine”, dimensione che porta con sè una possibilità di sviluppo e che pare ormai perduta nel bombardamento sensoriale a cui siamo sottoposti. L’opera (che potete trovare su Amazon e su abebooks.it a soli 7€) è composta di linografie, tecnica in cui Nielsen esprime il meglio della sua arte e che utilizzerà anche nelle sue famose illustrazioni per la storia di Orfeo e Euridice.

Degli stessi anni (1955) anche l’interessante “Skitzy” di Don Freeman,  storia della vita del signor Skitzafroid, pittore diviso tra sentimento artistico e necessità di campare e vero e proprio alter ego dell’autore. L’opera si distingue dalle altre succitate per la tecnica utilizzata che non è piùl’incisione ma la penna.

Si trovano, invece, al confine tra fregio pittorico e storia a fumetti le 2 opere grafiche di Si Lewen, intitolate “The Parade” (1957) e “A Journey” (1983), la cui strutturazione narrativa orizzontale dà l’idea dell’inesorabile movimento in linea retta tipico di una parata o di una marcia militare. Il tema preponderante di entrambi i lavori è infatti la crudeltà e la crudezza della guerra, mostrata attraverso immagini tremendamente angoscianti, trovate le 2 opere in versione integrale su questo sito, insieme ad altri lavori dell’americano.

Guillermo Mordillo, Massimo Mattioli, Sergio Aragones e altri artisti comici
Le strisce comiche sono forse il genere che più si presta all’eliminazione della parola, conferendo all’immagine tutto il potere comunicativo, infatti, l’azione comica diviene più immediata ed efficace, attirando anche il lettore più distratto.

Ne sono esempio lavori come la strip quotidiana “Boy and Girl” di John Rouson, incentrata sui rapporti quotidiani tra ragazzi e ragazze, così come “Ferd’nald” scritta da Henning Dahl Mikkelsen dagli anni ‘30, di tematica simile, oppure “Adamson” dello svedese Oscar Jacobsson, che racconta le vicissitudini di un fumatore di sigari, e ancora “The Little King” di Otto Soglow, il pelato “Henry” di Carl Anderson, o lo “Strange World of Mr. Mum” di Irving Phillips, che “chiedeva” ai lettori se fosse più strano il mondo di Mr. Mum o il mondo del dopo seconda guerra mondiale.

Le opere più interessanti sono però le sovraffollate scenette senza parole pubblicate da Sergio Aragones negli angoli della seminale rivista Mad Magazine, le oniriche avventure dei personaggi di Mordillo, artista argentino conosciuto in tutto il mondo e tra i più importanti cartoonist degli anni ’70 e il geniale “Squeak the Mouse” del nostro Massimo Mattioli (figura importantissima per il fumetto italiano, tra i fondatori della rivista “Cannibale” e creatore del coniglio fotoreporter Pinky), sanguinosa parodia dei cartoni di Tom e Jerry e padre non riconosciuto di personaggi come Grattachecca e Fichetto, secondo alcuni si dovrebbe parlare addirittura di plagio.

 

Carlos Trillo e Domingo Mandrafina
Dal 1981 al 1983 i due autori argentini pubblicano undici storie brevi in bianco e nero (6 tavole ognuna), conosciute col nome di “Storie Mute”, in cui omaggiano il cinema muto attraverso storie surreali e ironiche ed un sapiente uso narrativo del silenzio. I protagonisti di questi racconti, che svariano dalla fantascienza, all’horror, al melodramma, sono spesso figure ai margini, in cerca di riscatto e di un po’ di felicità, negata loro da una società che non li accetta.

La prima apparizione in Italia è sul numero 1 della rivista “L’Eternauta”, ma sono poi state raccolte dalla Acme nel volume “Senza Parole”, in cui manca, però, la storia “Le Foto”, comparsa sul numero 6 de “L’Eternauta”.

Vi saluto con un sentito ringraziamento al succitato David Berona che mi ha dato preziosi consigli nella ricerca del materiale necessario per questa prima parte dell articolo. Ci rivediamo tra due settimane per la seconda parte con gli autori degli anni ’90 e 2000. A presto!

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