Dylan Dog n. 345: Gli spiriti custodi – Recensione

Pubblicato il 27 Maggio 2015 alle 22:44

Teresa, esponente di una famiglia aristocratica inglese, vuol divorziare dal marito Sal che ha contratto dei debiti di gioco con la mafia russa e ha tradito la moglie con la donna di un boss. Gli spettri degli antenati di Teresa temono, però, che Sal venga ucciso prima del divorzio poiché sarebbero costretti a condividere l’eternità con lui e spingono la donna a rivolgersi a Dylan Dog.

Dylan Dog 345_cover

Cosa c’entra la mafia russa con l’indagatore dell’incubo? Ovviamente niente. Per giustificare lo scontro, Luigi Mignacco, sceneggiatore storico della serie, spinge nella storia una famiglia di fantasmi ma la funzionalità dell’elemento sovrannaturale nelle dinamiche narrative risulta perlopiù pretestuosa. La splendida ma fuorviante cover di Angelo Stano lascerebbe pensare ad una deliziosa commedia nera che vede Dylan alle prese con una famiglia Addams di spettri ma non ce n’è.

La storia si concentra troppo sui personaggi umani lasciando i cari estinti della bella Teresa al ruolo di comprimari che restano perlopiù sullo sfondo. Tra gli spettri, le uniche che riescono ad imprimersi davvero nella memoria del lettore sono la simpatica punk Deanna e la simil-Morticia Harriet che si presenta in una sequenza onirica del tutto inutile per poi tornare anche lei nell’anonimato. Gli altri fantasmi sono, perdonateci il gioco di parole, monodimensionali, inconsistenti e si rivelano anche scialbi sul piano comedy.

Per il resto, lo sceneggiatore imbastisce un giallo senza infamia e senza lode, con un paio di sequenze action senza grosse trovate e nelle quali gli spettri vengono appunto utilizzati in maniera piuttosto forzosa. La sceneggiatura denota anche alcune incertezze. Nonostante la presenza degli spiriti, non è lavoro di Dylan quello di proteggere il fedifrago Sal dalla mafia russa. In apertura di albo, Teresa sostiene che la polizia non ha voluto darle retta. A metà storia, però, si palesa l’ispettore Carpenter e le dice che avrebbe dovuto rivolgersi a loro. E Dylan non si pone domande.

La storia procede senza grossi sussulti sostenuta comunque dalla buona resa grafica di Sergio Gerasi, fantastico soprattutto nell’espressività dei primi piani e nei chiaroscuri. Accattivante la caratterizzazione estetica del killer russo Prisrak. Ogni tanto salta fuori ancora qualche balloon pensiero facoltativo. Nel finale Dylan riesce a concludere ben poco, è perlopiù testimone degli eventi, c’è qualche soluzione di comodo e l’epilogo è tirato via alla buona.

Prova assolutamente sottotono questa di Mignacco che non riesce a mescolare bene la componente crime con la ghost story ed è costretto a ricorrere a troppe forzature per cercare di conciliare il mondo terreno con quello spirituale. Il risultato è manieristico e poco divertente.

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