The Lazarus Effect – Recensione
Pubblicato il 22 Maggio 2015 alle 00:52
Zoe e il suo compagno Frank sono a capo di un gruppo di ricercatori universitari che sviluppa il siero Lazarus, capace di resuscitare i morti. Dopo aver sperimentato con successo il siero su un cane, il loro lavoro viene scoperto e sospeso dal rettore dell’università. Il team decide così di intrufolarsi in laboratorio nel tentativo di replicare l’esperimento ma Zoe resta uccisa in un incidente durante il procedimento. Frank la resuscita con il siero Lazarus ma il ritorno in vita di Zoe porterà a terribili conseguenze.
Molti film partono dalla sceneggiatura, altri nascono da un’idea di regia ed altri ancora vengono costruiti intorno all’attore protagonista. The Lazarus Effect fa parte di quest’ultima categoria. L’attrice Olivia Wilde si è guadagnata la fama di beniamina del pubblico non solo interpretando eroine come la dottoressa Tredici in House MD, Quorra in Tron Legacy o la cow-girl Elle in Cowboys & Aliens, ma anche grazie al suo straordinario lavoro di fervente attivista. Vedere la ragazza con gli occhioni azzurri della porta accanto che si trasforma in un essere demoniaco poteva quindi essere una trovata vincente per un horror. Purtroppo Olivia Wilde è l’unica cosa che funziona in un film tutto sbagliato.
Già il concept di base è quanto di più banale si sia mai visto e rimanda a titoli certamente più riusciti come Linea mortale e Cimitero vivente. Il primo ingrediente per far salire la tensione in un buon horror sta nell’intrecciare dei rapporti interpersonali interessanti tra i protagonisti ma qui è tutto accennato, raffazzonato, lasciato a metà e privo di realismo. Il team di scienziati scopre il siero per resuscitare i morti e si comporta come se avesse inventato un nuovo gusto di gelato.
Il conflitto di Zoe, interpretata appunto da Olivia Wilde, circa scienza e religione vive in un unico dialogo filosofico con il compagno Frank e finisce tutto lì. L’arco narrativo della scienziata reggerà poi su un trauma infantile che si collega malissimo con i temi di base della storia. Riportata in vita, Zoe sviluppa i soliti poteri telepatici e telecinetici di cui non se ne può più.
A completare il team c’è Evan Peters che fuma una sigaretta elettronica e la sua caratterizzazione è tutta qui, Donald Glover, invaghito di Zoe, quasi a rappresentare i fans di Olivia Wilde sullo schermo, e Sarah Bolger, una videografa sulla quale, per due secondi, cadono alcuni sospetti e poi non succede assolutamente nulla. Tutta la sottotrama del rettore dell’università che sospende gli esperimenti del team è totalmente inutile.
La regia di David Gelb, che ha nel curriculum solo un documentario, fa il minimo sindacale sorretta da una buona fotografia. Quel po’ di horror che riserva il film è tarato per il PG-13, le potenziali scene splatter sono edulcorate e non c’è una sola sequenza che faccia paura. Gli effetti digitali mescolati a quelli pratici non convincono mai. C’è qua e là qualche insensato accenno di mockumentary e alcuni risvolti narrativi sono inattendibili. Bisogna eliminare una morta vivente con superpoteri e, invece di fracassarle la testa con una qualche arma, si cerca di farle un’iniezione. L’epilogo scade nel ridicolo.
Olivia Wilde ha recentemente dato grandissime prove attoriali in film indipendenti come Drinking Buddies e Meadowland e qui ce la mette tutta per conferire profondità al personaggio e tentare di renderlo inquietante. Purtroppo sceneggiatura, comprimari e confezione non ne esaltano la performance.