Il Racconto dei Racconti – Recensione

Pubblicato il 20 Maggio 2015 alle 00:37

Tre storie fiabesche. La Regina di Selvascura non riesce ad avere un figlio e decide di seguire le istruzioni di un negromante: mangiare il cuore di un drago marino cucinato da una vergine. La Regina resta incinta ma, per un imprevisto, accade lo stesso alla sguattera che ha cucinato il cuore. I due bambini, gemelli, saranno uniti da un forte legame. Il Re di Roccaforte, impenitente donnaiolo, ascolta un canto provenire da una misera casetta, crede che la voce appartenga ad una giovane donna e se ne invaghisce. Ma non sa che nella catapecchia vivono due anziane sorelle. Il Re di Altomonte adotta una pulce che cresce a dismisura. Quando l’animale muore, il Re indice una singolare gara per dare in sposa sua figlia Viola, pensando che nessuno riuscirà a superare la prova. La giovane finirà invece in sposa ad un orco.

Il Racconto dei Racconti

Prima dei fratelli Grimm, prima di Charles Perrault, prima di Hans Christian Andersen, c’è stato il campano Giambattista Basile, nato nella seconda metà del ‘500, autore de Lo cunto de li cunti, Il Racconto dei Racconti appunto, antologia di fiabe in lingua napoletana che ha ispirato alcune tra le favole più celebri dei sopracitati autori europei.

Matteo Garrone, che ha raccontato Napoli e la Campania in Gomorra e Reality tingendo di fiction la realtà, qui fa l’esatto opposto. Il regista prende un mondo da fiaba e lo rende concreto facendo con gli scenari naturalistici italiani quello che Peter Jackson ha fatto con la Nuova Zelanda ne Il Signore degli Anelli, senza però dover costruire set milionari ma sfruttando le antiche meraviglie architettoniche del nostro paese come i vari castelli e il labirinto di pietra di Donnafugata.

Complici la fotografia di Peter Suschitzky, che ha lavorato ne L’Impero colpisce ancora e frequente collaboratore di David Cronenberg, i costumi di Massimo Cantini Parrini e le musiche evocative di Alexandre Desplat (Harry Potter e i Doni della Morte, Argo, Godzilla), Garrone riesce a suscitare nel pubblico l’illusione di essere finiti in un’Italia incantata, in un medioevo fantastico che denota le influenze pittoriche dell’autore, su tutti Goya, e rimandi a registi quali Bava, Fellini e Luigi Comencini.

Le tre fiabe scelte per la trasposizione sono collegate da diversi fili conduttori, una presenza femminile forte intorno a cui ruota ciascuna storia e, su tutto, i temi del desiderio, della trasformazione, dei legami familiari e lo scontro tra classi sociali. Salma Hayek è l’austera Regina di Selvascura che vede di cattivo occhio il rapporto del figlio Elias con il sosia Jonah partorito dalla serva per effetto della magia scaturita dal cuore del drago. Nell’episodio compare il noto caratterista John C. Reilly nel ruolo del Re e sono pregevoli seppure imperfetti l’animatrone del drago integrato con gli effetti digitali e il pipistrello gigante realizzato con effetti pratici.

Metafora attualissima sulla chirurgia estetica e sulla vacuità dell’apparenza a scapito dei sentimenti nella storia delle due vecchie sorelle e del Re donnaiolo interpretato da Vincent Cassel. Il make-up per rendere Shirley Henderson e Hayley Carmichael eccessivamente laide e raggrinzite è troppo posticcio e poco credibile ma con la giusta fotografia, riesce in alcuni momenti a sortire l’effetto di ripugnanza desiderato. E’ l’episodio che denota sia un’incursione nell’horror che nell’erotismo. Reduce dal controverso Nymphomaniac, ritroviamo una Stacy Martin bellissima e dalla lunga chioma rossa.

Il terzo racconto è quello venato dalle sfumature più sottili e vede uno straordinario Toby Jones (Arnim Zola nella saga cinematografica Marvel) nel ruolo del Re di Altomonte, un sovrano di piccola statura che rispecchia la sua personalità immatura. Sembra ignorare sua figlia, la principessa Viola, affezionandosi invece ad una minuscola pulce che cresce a dismisura. Alla morte di quest’ultima, il Re si aggrappa di nuovo alla figlia e finisce immancabilmente per perderla. Viola, a sua volta, è costretta a maturare prematuramente quando finirà tra le grinfie di un orco, lui sì gigantesco ma ottuso. L’episodio riserva anche un cameo di Alba Rohrwacher.

L’adattamento attualizza alcune delle fiabe apportando qualche cambiamento e mescolandovi suggestioni da altri racconti di Basile con una ricchezza sconfinata di simbolismi e metafore. E’ uno sforzo produttivo notevole, costato circa 14 milioni di euro, con il quale uno dei nostri migliori autori si sforza di portare il cinema italiano fuori dalle convenzioni odierne e di riproporre il genere fantastico che già Salvatores ha provato a rinverdire con Il Ragazzo Invisibile. Forse l’opera ha il difetto di essere un film di fiabe non adatto ai bambini ma è comunque un gran bel sogno ad occhi aperti.

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