Dylan Dog n. 344: Il sapore dell’acqua – Recensione

Pubblicato il 28 Aprile 2015 alle 16:20

Una misteriosa sparizione, una ragazza morta dopo aver ingerito dell’acido che non lascia traccia e un uomo rimasto gravemente ustionato. Tre casi che hanno in comune l’acqua ed un antico e prezioso ciondolo. La polizia brancola nel buio e Rania Rakim, detective di Scotland Yard, decide di chiedere l’aiuto di Dylan Dog. L’indagatore dell’incubo sente puzza di zolfo e segue la pista dell’alchimia.

Dylan Dog 344_cover

Sul numero di Dylan Dog del mese scorso, Nel fumo della battaglia, Gigi Simeoni, in veste di sceneggiatore e disegnatore, ha entusiasmato i lettori con una storia avvincente e delicata, sorretta da una sottile ambiguità e ben equilibrata tra la componente investigativa e le divertite dinamiche sovrannaturali. Una prova che lasciava ben sperare per l’albo di questo mese, nel quale ritroviamo l’autore bresciano ai testi per i disegni di Giorgio Pontrelli. Purtroppo, a dispetto del titolo, Il sapore dell’acqua si dimostra un racconto insipido e poco avvincente.

La suggestione principale alla base della storia rimanda ad Abyss (n. 120 della serie, trasposto anche radiofonicamente), scritto da Tiziano Sclavi e Magda Balsamo, nel quale l’elemento acquatico era il filo conduttore di una serie di morti incredibili che rappresentavano la parte più ludica della narrazione, totalmente assente nella sceneggiatura troppo macchinosa di Simeoni.

Il prologo stesso è di scarso effetto e manca dell’appeal necessario per catturare subito il lettore. Il percorso investigativo di Dylan è troppo convenzionale e manieristico, soprattutto per gli standard della serie, e lo sviluppo è appesantito da un eccesso di dialoghi, continui spiegoni e controspiegoni. Non c’è action, non c’è horror, non c’è tensione né atmosfera.

Ci vogliono quaranta pagine perché Dylan capisca che l’acqua è l’elemento che accomuna i tre casi misteriosi quando il lettore lo capisce fin dal titolo della storia. Ce ne vogliono settantacinque per spiegare il funzionamento del misterioso ciondolo con l’elemento esoterico spinto parecchio a forza nel meccanismo alchemico. Alcuni risvolti narrativi sono troppo pretestuosi e, almeno in un’occasione, una delle intuizioni di Dylan sulla ragazza morta ingerendo acido è tirata per i capelli.

I dialoghi sono spigliati e denotano una buona verve ma il rapporto tra l’indagatore dell’incubo e la bella Ranya è troppo monocorde. Groucho fornisce il consueto supporto. La scena della cassaforte, fondamentale per il prosieguo della vicenda, è pretestuosa ma accettabile per il tono surreale che caratterizza tutto ciò che ruota intorno all’assistente di Dylan. Solo funzionale la presenza di Hamlin come pure quella della fidanzata di turno del protagonista posta convenientemente nel posto giusto al momento giusto per l’epilogo.

Il finale regala un po’ di action, senza grossi acuti o colpi di scena. Le vertigini di Dylan vengono semplicemente accennate quando dovrebbero giocare un ruolo importante e potrebbero essere utilizzate per rendere più interessante la sequenza. Interessanti i disegni di Pontrelli che sembrano avere una consistenza liquida e avrebbero potuto essere maggiormente esaltati dalla sceneggiatura. Il tratto è sintetico, le scenografie tangibili, le vignette sono molto luminose con una predominanza di bianco, pochissime ombre e assenza totale di chiaroscuri.

Sceneggiatore di lungo corso, Simeoni ha dimostrato più volte di sapere come tenere il lettore sulla corda e strutturare una storia solida ma è fisiologico che la qualità della propria opera ogni tanto abbia una flessione. Questa volta si tratta di una prova sottotono priva di quel fervore creativo ed autoriale di cui ha bisogno una testata come Dylan Dog.

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