Humandroid – Recensione

Pubblicato il 8 Aprile 2015 alle 21:49

Futuro prossimo. Nel tentativo di arginare il crimine dilagante a Johannesburg, la polizia impiega dei robot corazzati prodotti dalla Tetravaal e progettati da Deon Wilson. Il giovane ingegnere ha creato un nuovo prototipo di intelligenza artificiale che replica pensieri e sentimenti umani e decide di impiantarla in uno dei suoi robot rimasto danneggiato in azione. Una gang di malviventi, però, rapisce Deon e ruba il robot che sviluppa la mente di un bambino grazie al nuovo software e viene chiamato Chappie.

Humandroid

La filmografia di Neill Blomkamp si sta dimostrando una parabola discendente. Il regista sudafricano si è messo in luce con una serie di eccezionali cortometraggi di fantascienza, uno dei quali, Alive in Joburg, ha poi trasposto nell’ottimo lungometraggio District 9 per il suo esordio sul grande schermo. Vi ha fatto seguito il mezzo passo falso di Elysium, del quale lo stesso regista si è recentemente detto insoddisfatto.

Tratto da Tetra Vaal, il suo primo corto, Humandroid, titolo italiano di Chappie, ha ricevuto un’accoglienza a dir poco tiepida in USA e si prepara ora ad esordire in Italia. Il film saccheggia apertamente RoboCop di Paul Verhoeven. Anche qui abbiamo la grande compagnia stile OCP, un ingegnere che crea robopoliziotti efficienti e il rivale geloso che ha inventato un bestione corazzato a due zampe snobbato da tutti.

Dev Patel, protagonista di The Millionaire, è Deon Wilson che decide di impiantare un’intelligenza artificiale in uno dei suoi robot creando l’infantile Chappie, interpretato attraverso motion capture e doppiaggio da Sharlto Copley, attore feticcio di Blomkamp. Chappie viene rubato da una gang che vuole sfruttarlo per saldare un debito e il robot, una spugna che assimila tutto ciò che gli viene inculcato, deve barcamenarsi tra genitori adottivi di diversa indole e cresce cercando di capire cosa vuol diventare.

La buona “mamma” Yolandi legge le fiabe a Chappie e cerca di farlo familiarizzare con il concetto di anima mentre il severo “papà” Ninja vuole renderlo un duro spedendolo tra le gang di strada. Il conflitto uomo-macchina viene totalmente a mancare e il film si trasforma in una sorta di dramedy familiare abbastanza stucchevole e puerile, un RoboCop che si trasforma in Numero 5, tenerone protagonista di Corto Circuito.

Dopo aver guidato robot da combattimento in Real Steel, Hugh Jackman è qui un cattivo del tutto monodimensionale, rivale di Deon ai comandi del robot corazzato MOOSE. Ancor più striminzita la presenza di Sigourney Weaver, appena appena funzionale a voler essere buoni, del tutto inutile a voler essere onesti. Tutta l’action è lasciata alla battaglia finale, breve, priva della spettacolarità o dell’inventiva che contraddistinguevano District 9, esplicita sul piano della violenza ma senza particolari eccessi.

Sempre fortemente realistiche e tangibili scenografie ed effetti visivi ed il ritmo registico di Blomkamp è comunque apprezzabile. L’epilogo del film è di un buonismo insostenibile. Un lieto fine da favoletta zuccherosa priva di qualsivoglia cinismo. Blomkamp si occuperà ora del nuovo film di Alien. Magari lavorare ad un franchise già collaudato lo aiuterà a ritrovare brillantezza.

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