Home – A casa – Recensione
Pubblicato il 31 Marzo 2015 alle 00:32
In fuga dalla nemica razza dei Gorg, gli alieni Boov giungono sulla Terra, occupano le abitazioni degli umani ricollocandoli in altre zone del pianeta e cercano di renderlo più vivibile. Un Boov emarginato e maldestro di nome Oh s’imbatte nella giovane umana Tip, sfuggita alla cattura e in cerca di sua madre. Per i due avrà inizio una rocambolesca avventura.
Non si sentiva certo il bisogno dell’ennesimo, puerile, ruffiano e banale filmetto d’animazione della Dreamworks infarcito di buoni sentimenti fino alla nausea e imperniato sul tema ormai abusato della famiglia. Eppure eccolo qua, scialbo, privo di mordente e di idee ma confezionato con la giusta furbizia per portare i bambini al cinema e fare incasso.
Il film è tratto dal romanzo per i più piccoli The true meaning of Smekday, di Adam Rex, laddove Smekday è la parola con la quale i Boov ribattezzano il Natale, ovvero il giorno del loro arrivo sulla Terra nella storia originale. Si ha la sensazione che trama e titolo siano cambiati semplicemente perché l’uscita del film non era prevista per il periodo natalizio.
Privo del carisma per poter diventare il nuovo E.T., l’alieno Oh ricorda, ahimè, il Jar Jar Binks di Star Wars, un alieno bandito della sua comunità perché terribilmente pasticcione. Gli fa da contraltare la precoce maturità della teenager Tip, in cerca di sua madre. Un pretesto per mettere insieme due personaggi dicotomici in un’avventuretta on the road alla ricerca di legami e, come suggerisce il titolo del film, di un posto da chiamare casa, come un po’ tutti i personaggi della storia, compresi i cattivi (o presunti tali) Gorg. Incomprensibile l’utilità del gatto di Tip se non quella di mettere un peluche coccoloso sullo schermo.
Il livello dell’animazione è convenzionale e la colonna sonora è ammorbata dall’inizio alla fine dalle canzoni di Rihanna inserita in un eccellente cast di doppiatori che comprende Jim Parsons, ovvero lo Sheldon di Big Bang Theory, Steve Martin e Jennifer Lopez. Il doppiaggio italiano, tanto per cambiare, non è assolutamente all’altezza. Le gag comiche sono totalmente infantili e strappano appena qualche sorriso. Quando si deve ricorrere alle funzioni corporali per far ridere il pubblico, significa che gli sceneggiatori sono davvero alla frutta. Inutile.