Cenerentola – Recensione

Pubblicato il 17 Marzo 2015 alle 22:59

In un regno incantato, la giovane Ella vive in una splendida tenuta con i facoltosi genitori che le insegnano a vivere con gentilezza e speranza. Dopo la morte della moglie, il padre di Ella si risposa con la vedova Tremaine, madre di Genoveffa ed Anastasia. Quando anche l’uomo muore, Ella scopre la crudeltà dalla matrigna e dalle due sorellastre che la ribattezzano Cenerentola e la costringono al ruolo di sguattera.

Cenerentola

Il progetto della Disney di trasporre in versione live i suoi classici d’animazione è di dubbia utilità ma può servire quantomeno per rileggerne i contenuti in chiave più moderna. La rivisitazione di Cenerentola, uscito nel 1950, tocca a Kenneth Branagh, regista di stampo shakespeariano che sembra aver perso ogni velleità autoriale per dedicarsi solo a film su commissione e franchise di grande richiamo come gli ultimi Thor e Jack Ryan – L’iniziazione.

Al contrario dell’abominevole stravolgimento de La bella addormentata nel bosco visto l’anno scorso in Maleficent, qui Branagh e lo sceneggiatore Chris Weitz restano più fedeli all’originale raccontando la storia in maniera convenzionale ma tentando di costruire una Cenerentola meno remissiva e più risoluta intorno alla deliziosa Lily James.

Il Principe Azzurro di Richard Madden, già figura nobile in Game of Thrones, non è distaccato come la controparte animata, bensì umano e anticonformista. L’intento è chiaramente quello di rendere entrambi i personaggi più simpatici e riconducibili all’odierno pubblico di teenagers. Helena Bonham Carter è la benevola Fata Madrina, eccentrica al punto giusto, che regala l’unica sequenza davvero memorabile, seppur breve, del film.

In un cast tutto britannico, le uniche eccezioni sono l’australiana Cate Blanchett, perfetta nel ruolo dell’algida matrigna i cui motivi d’odio verso Cenerentola vengono approfonditi rispetto al film d’animazione, e lo svedese Stellan Skarsgard (il dr. Selvig dell’universo cinematografico Marvel) che interpreta un infido Granduca. Presente anche Hayley Atwell (protagonista di Agent Carter) nel ruolo della madre di Cenerentola.

I punti di forza della pellicola del 1950 erano due. Anzitutto, per buona parte del film, i veri protagonisti erano i simpatici topolini capeggiati da Giac e Gas Gas che garantivano action e risate. Qui i piccoli roditori, realizzati in cgi, vengono lasciati piuttosto in disparte e fanno il minimo sindacale. Oltretutto l’amicizia di Cenerentola con gli animali presenta anche uno stucchevole messaggio ecologista con l’eroina palesemente vegetariana. L’altro elemento vincente erano le canzoni, qui del tutto assenti.

In compenso Branagh diluisce tutte le componenti più zuccherose, dalle dinamiche romantiche all’approfondimento intimista passando per intrighi di corte tirati per i capelli. Tutto addobbato dalle tipiche ruffianate disneyane per ammaliare i sensi dello spettatore. Gli abiti sontuosi e le scenografie ricche e sfarzose di Dante Farretti presentano colori pastello addirittura più sgargianti dell’originale animato. E’ tutto un brillare di carrozze ingioiellate e scarpette di cristallo esaltate dal 3D. Sentimentali e retoriche le musiche di Patrick Doyle.

Il film presenta una notevole eleganza formale ma è anche molto essenziale e manieristico. Ci si chiede se questa sia davvero una Cenerentola moderna o se il film sia anti-femminista. La verità sta nel mezzo. Non c’è esaltazione del girl power né uno sguardo particolarmente maschilista. Però la storia della giovane che accetta la sua condizione di sguattera con ottimismo e speranza, senza alcun moto di ribellione, e l’unico modo per riscattarsi è sposare un principe, non è proprio il più moderno dei messaggi di emancipazione femminile.

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