Orfani – Ringo n. 6: Come pioggia – Recensione
Pubblicato il 12 Marzo 2015 alle 22:44
Piove sugli Orfani. Ringo, Rosa, Seba e Nuè si rifugiano in una casupola per trascorrere la notte. La splendida giornata di sole che li accoglie l’indomani li spinge a prendersi una sosta dalle loro turbolente peregrinazioni, una pausa di riflessione nel tentativo di ritrovare un po’ di serenità. Mentre Ringo tenta di dedicarsi all’antica passione del disegno, Seba e Nuè continuano a contendersi l’amore di Rosa.
Una delle principali peculiarità di questa seconda stagione di Orfani è l’alternanza ai testi tra Roberto Recchioni, creatore della serie ed incline a storie fortemente action, e il suo collaboratore di vecchia data Mauro Uzzeo, più portato verso la componente intimista. Dopo l’albo adrenalinico del mese scorso, in puro stile Recchioni, stavolta tocca ad Uzzeo fornire un’analisi introspettiva dei protagonisti.
Lasciata Lucca, gli Orfani s’inerpicano su una zona montuosa, percorrendo macchie boscose verso un caratteristico paesello miracolosamente scampato all’apocalisse. Le sequenze di viaggio sono mute. Tutto è lasciato alle vignette paesaggistiche di Alessio Avallone che i colori di Nicola Righi incupiscono e raffreddano nelle scene di pioggia mentre scaldano e rendono onirici i momenti di serenità.
Ringo decide di concedere un giorno di vacanza a Rosa, Seba e Nuè per tentare di allentare la crescente tensione all’interno del gruppo. Allevato per essere un soldato, il protagonista avverte la propria inadeguatezza come figura paterna ed è un concentrato di rabbia repressa pronta ad esplodere. Cerca così una catarsi artistica riabbracciando la passione adolescenziale per il disegno.
Emerge il lato più fanciullesco dei tre giovani e il triangolo sentimentale sembra complicarsi. Seba, rude e scontroso, si contrappone alla dolcezza e alla sensibilità di Nuè. Una dicotomia che sembra rispecchiare il conflitto tra pragmatismo ed astrazione su cui è imperniata la storia. La matita di Avallone raffigura una Rosa sinuosa e delicata, dagli occhi smeraldini, oggetto del desiderio venato d’ambiguità, simbolo di vita e speranza tanto da essere anche musa ispiratrice per Ringo e da assumere connotati addirittura fiabeschi. Uzzeo si affida molto ai silenzi e l’introspezione dei personaggi è comunicata dalle espressioni nei primi piani e dalla mimica corporea.
I protagonisti sono rinchiusi nel limbo di una realtà idealizzata, una chimera utopistica che causa assuefazione e consunzione. In tal senso, emerge per l’ennesima volta il cinismo di Ringo che infrange idealmente i sogni dei suoi figli ma si evolve nella sua veste di figura paterna richiamandoli al dovere. E sugli orfani piove ancora.