Foxcatcher – Una storia americana – Recensione
Pubblicato il 11 Marzo 2015 alle 14:15
Seconda metà degli anni ’80. I fratelli Mark e Dave Schultz sono wrestler che hanno vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi. L’eccentrico milionario e filantropo John E. du Pont si offre di sponsorizzare Mark invitandolo a stabilirsi nella sua tenuta in Pennsylvania e ad entrare nel Team Foxcatcher per vincere i mondiali. Ossessionato dall’idea di portare il wrestling americano ad eccellere e turbato dalla propria solitudine, Du Pont si lega morbosamente a Mark gravando sulla sua tenuta psicologica. Quando il milionario convince anche Dave ad unirsi alla squadra, la situazione cambierà.
Non ci si aspetti un’epopea sportiva o spettacolari incontri di wrestling. Foxcatcher è un sottilissimo thriller psicologico basato sull’autobiografia del campione olimpionico americano Mark Schultz: Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia. Bennett Miller, già regista dell’acclamato L’arte di vincere, sempre d’ambientazione sportiva, dirige un cast di camaleonti che sostengono la storia attraverso performance introspettive di altissimo livello.
Reso quasi irriconoscibile dal make-up, Steve Carell è l’eccentrico e ossessivo milionario John E. du Pont, un appassionato di wrestling che vuol creare e finanziare una nuova stirpe di campioni americani, tiene la bandiera degli Stati Uniti incorniciata e colleziona armi. Caratteristiche che denotano la sfumatura anti-repubblicana del film.
Ma le sfaccettature del personaggio sono ancor più minuziose ad indicare un quadro psicologico molto complesso. Disapprovato dalla madre, tratteggiata dalla breve ma intensa interpretazione di Vanessa Redgrave, Du Pont è un uomo afflitto dalla solitudine che finisce per legarsi a Mark scaricandogli sulle spalle tutte le sue aspettative. Channing Tatum riesce ad infondere nel wrestler la giusta fragilità emotiva rendendolo sensibile, taciturno, introverso e represso.
Ago della bilancia tra i due è un Mark Ruffalo in continua crescita nel ruolo di Dave Schultz, caratterialmente più forte del fratello, riesce ad empatizzare col suo disagio e si prende cura di lui. Appena un cameo quello di Sienna Miller che, dopo American Sniper, continua a limitarsi al ruolo di mogliettina appena funzionale.
La componente sportiva della narrazione è ridotta all’osso e resta sullo sfondo, il risvolto thrilling è lasciato al finale. Per il resto del film, la regia di Miller si sofferma esclusivamente sugli interpreti esaltando le rispettive performance con silenzi prolungati più espliciti dei dialoghi in un continuo crescendo emotivo.
Du Pont detesta la tradizione familiare della caccia alla volpe ma finisce per trattare i suoi wrestler come bestie da spronare al galoppo per inseguire un sogno irraggiungibile. Un delirio dietro cui si cela il tormento di un’anima priva di affetto e a cui si contrappone il legame di due fratelli.