Il Settimo Figlio – Recensione
Pubblicato il 3 Marzo 2015 alle 17:09
Master Gregory, cavaliere dell’ordine dei Falchi, imprigiona la malefica strega Madre Malkin in una cella. Ma un evento secolare noto come la Luna di Sangue, accresce i poteri della donna permettendole di trasformarsi in un drago e fuggire. Dopo aver perso il suo apprendista, Gregory prende sotto la sua ala il giovane contadino Tom Ward, settimo figlio di un settimo figlio, l’eroe della profezia che lo aiuterà a difendere il regno dalle forze del male.
Il periodo che va da gennaio a fine marzo corrisponde ad una bassa stagione cinematografica durante la quale arrivano nelle sale tutti quei film che non possono reggere la grande competizione estiva: b-movies, pellicole a basso budget o aspiranti ma zoppicanti blockbuster la cui riuscita al botteghino non è assicurata. Costato 95 milioni di dollari, Il Settimo Figlio esce con ben due anni di ritardo rispetto alla data originale per svariati problemi di produzione e distribuzione.
Tratto dal primo di tredici volumi della saga fantasy The Wardstone Chronicles, scritta dall’inglese Joseph Delaney, il film è piuttosto convenzionale e si siede su dinamiche del tutto risapute imperniandosi sul tema del rapporto genitori-figli e sul consueto rito di passaggio generazionale. Tom, il giovane protagonista, si stacca dalla madre per diventare l’apprendista di Master Gregory, nuova figura paterna, interpretato da un Jeff Bridges che torna a fare il Grinta in chiave fantasy.
Anche le streghe a cui danno la caccia hanno legami di parentela. La cattiva della situazione, naturalmente priva di una figura filiale, è Julianne Moore, fresca di premio Oscar, qui in una marchetta imbarazzante. La sorella, che ha gli occhi azzurri di Antje Traue, è invece la madre della bella Alice che allaccia una scontata relazione sentimentale con Tom entrando in conflitto con la zia. Tra gli altri personaggi spicca una comparsata di Kit Harington, caro ai fans di Game of Thrones. Djimon Hounsou è il braccio armato delle streghe mentre Tusk è l’inutile assistente simil-orco di Gregory.
La sceneggiatura è raffazzonata e i colpi di scena prevedibili. A fronte di una scenografia curata e tangibile, il film presenta degli effetti digitali di qualità altalenante, particolarmente sciatti in alcuni punti, realizzati dai Rhythm & Hues Studios, compagnia tre volte premio Oscar in passato ma recentemente finita in bancarotta. Non resta quindi nulla. I personaggi sono tagliati con l’accetta, la storia si dimentica subito e lo spettacolo visivo non incide. Noioso e trascurabile.