American Sniper – Recensione
Pubblicato il 4 Febbraio 2015 alle 16:50
Clint Eastwood e Bradley Cooper mettono in scena la vita, dentro e fuori dal campo di battaglia, di Chris “La Leggenda” Kyle
“American Sniper”, il “Cecchino Americano”, ossia Chris Kyle, ex membro dei Navy SEAL su cui ruota attorno tutta la vicenda tratta dall’omonima autobiografia e che trova il suo volto cinematografico nel talento di Bradley Cooper. Si parte dunque con un breve scorcio della sua infanzia e gioventù, l’incontro con la donna che diventerà sua moglie per poi passare rapidamente alla sua vocazione per le armi che lo porterà a scendere direttamente sul campo di battaglia durante la guerra in Iraq per ben quattro turni, ossia circa mille giorni in cui diventerà il cecchino più letale d’America fino a ricevere l’appellativo de “La Leggenda”; 160 le uccisioni confermate dal Pentagono, almeno un centinaio in più quelle da lui stesso dichiarate.
Il film segue dunque la sua vita dentro e fuori il campo di battaglia, ci mostra le sue ansie, paure, speranze. Dopo essere passata per le mani di David O.Russell e Steven Spielberg, la pellicola viene affidata in definitiva a Clint Eastwood nell’agosto 2013. Patriottismo, biopic, omaggio, denuncia; questi sono gli aspetti che il regista ha voluto infondere alla pellicola. Kyle è in Iraq per servire la Patria, difenderla, onorarla e così salvarla dal “nemico” e per fare ciò è disposto a sacrificare se stesso e il tempo per la sua famiglia.
Quello che per più di due ore passa per lo schermo è un Bradley Cooper-Show, perché è lui il mattatore assoluto e riesce benissimo a gestire il ruolo per tutta la durata della pellicola, compito non semplice ma comunque agevolato dal buon supporti dei comprimari sul campo di battaglia e da una più che apprezzabile Sienna Miller, interprete di Taya Renae Kyle, moglie di Kyle. Moglie che più volte tra una missione e l’altra cerca di far balzare agli occhi di Kyle il vero significato della guerra, fatto per lo più di orrori e inutilità, fantasmi che il cecchino comincia a portarsi dietro anche durante i suoi rientri in America fino ad alienarsi parzialmente o totalmente dalla realtà e a sviluppare un disturbo post traumatico da stress che comunque con il tempo supererà ritrovando l’armonia con se stesso e la sua famiglia.
Su questo aspetto in realtà Eastwood non calca tanto la mano, accennando per lo più solo alcuni sintomi e atteggiamenti tipici di questo disturbo.
Quello che il regista 84enne vuole invece mettere in evidenza è il realismo, che sia della vita o della guerra; si perché la vicenda è trasposta con realismo durante la vita in America e in Iraq, in quest’ultimo caso con un taglio che non priva lo spettatore di morti violente, raffiche infinite di spari, granate, bombe e così via. Il film sia chiaro, non scorre rapidamente ma, al contrario, soprattutto nella parte centrale diventa decisamente lento, le aspirazioni sono da biopic e kolossal bellico contemporaneamente e si vede, una minor durata della pellicola, magari riducendo alcuni tempi morti della parte centrale avrebbe forse giovato in termini di ritmo; ovviamente non si assiste a un fantasy o a un film d’azione fine a stesso ma alla biografia della vita di un uomo, e questi che dir si voglia sono i film più difficili da trasporre e che richiedono scelte precise o ponderate. Alcune scelte restano comunque discutibili (vedi telefonate di Kyle alla moglie sul campo di battaglia, improbabili quanto inutili).
Inevitabile il paragone con altre pellicole a sfondo bellico, soprattutto con quel “The Hurt Locker”, premio Oscar ormai 5 anni fa. Una limitata release strategica il 25 Dicembre sul suolo americano punta a lanciare il film verso la corsa per il suddetto. Eastwood da un’ennesima prova delle sue qualità in campo registico con questo kolossal bellico, che mette alla prova un Bradley Cooper che ne esce a testa alta e conferma il suo valore in campo cinematografico, oltre al carisma e al talento, un film non esente da difetti, alcuni pesanti da digerire, ma di innegabile valore.