Justice League: Throne of Atlantis – Recensione
Pubblicato il 27 Gennaio 2015 alle 12:19
Nell’Oceano Atlantico, un sottomarino statunitense viene attaccato da misteriosi anfibi umanoidi e la Justice League si riunisce per indagare sul disastro. Nel frattempo, a Mercy Reef, nel Maine, Arthur Curry, un uomo dotato di branchie, superforza e di un’innaturale empatia con le creature marine, s’interroga sulle sue origini. Scoprirà di essere il principe ibrido e negletto del mitologico regno subacqueo di Atlantide dov’è in atto un complotto per muovere guerra alla terraferma. Arthur dovrà raccogliere la sua eredità nei panni dell’eroe noto come Aquaman.
La serie di film d’animazione direct-to-video del DC Universe si è ormai allineata all’attuale continuity fumettistica delle Nuove 52 utilizzando la serie regolare della Justice League come filo conduttore. Il primo story arc della serie a fumetti è stato trasposto nel film Justice League: War che raccontava di come il supergruppo DC sia nato per respingere l’invasione dei Parademoni di Apokolips. Rispetto all’opera originale, nella formazione mancava Aquaman, rimpiazzato da Shazam.
Il Re di Atlantide viene introdotto in questo libero adattamento di Throne of Atlantis, saga scritta da Geoff Johns che si è svolta sia sulle pagine di Justice League che di Aquaman. Il problema del film è proprio l’inserimento piuttosto forzoso di Superman e compagni in quella che è la storia delle origini di Aquaman e che avrebbe meritato un film a se stante.
La storia di Arthur Curry ricorda quella del Thor della Marvel. Principe reietto di un regno mitologico, confinato sulla Terra, cerca le proprie origini mentre il fratellastro Orm, alias Ocean Master, complotta con il misterioso Black Manta per usurpare il trono e scatenare una guerra contro la Terra. In soccorso dell’eroe giunge la bellissima Mera, guardia reale della regina che rende totalmente inutile la presenza nel film del dr. Shin
In tale arco narrativo la Justice League c’entra pochissimo. Inizialmente viene buttato lì il tema di una squadra poco unita con Cyborg che deve iniziare le indagini da solo. Ma è un puro un pretesto per allungare il brodo e mostrare cosa stanno facendo gli altri membri del team. La relazione sentimentale tra Superman e Wonder Woman e la scena d’azione di Batman contro lo Spaventapasseri sono totalmente avulsi dalla trama principale. Nel giro di venti minuti, la Justice League è di nuovo unita e non c’è alcun vero conflitto interno al gruppo. Il loro ruolo nella battaglia finale, inoltre, è facoltativo perché sarà Aquaman, com’è giusto, a risolvere tutto.
Ethan Spaulding, già regista dei precedenti Son of Batman e Batman: Assault on Arkham, mantiene un buon equilibrio tra trama ed action con buone dosi di violenza esplicita. Il livello d’animazione non si solleva dai canoni della serie. Bravi i doppiatori tra cui figurano volti noti come Rosario Dawson (Sin City, Marvel’s Daredevil), Sean Astin (Il Signore degli Anelli) e Harry Lennix (L’Uomo d’Acciaio). Occhio all’inserimento dei mostri della Fossa delle Marianne, che i lettori di Aquaman conoscono bene, all’introduzione di un personaggio correlato a Superman e alla scena dopo i titoli di coda.
Con il grande reboot del 2011, Geoff Johns ha iniziato un’operazione di rilancio di Aquaman, ritenuto da molti un supereroe inferiore e poco accattivante. Tuttavia non sembra che alla DC e alla Warner abbiano fede fino in fondo nelle potenzialità del personaggio poiché viene qui persa l’occasione di dedicare un film solamente al Re di Atlantide e gli vengono affiancati, senza alcuna autentica utilità narrativa, i più celebri Superman, Batman, Wonder Woman e Flash per attrarre il pubblico. Peccato.