Dylan Dog n. 341: Al servizio del caos – Recensione
Pubblicato il 20 Gennaio 2015 alle 12:35
John Ghost è un uomo bellissimo ed elegante, glaciale e nichilista, cinico e immorale, in grado di veicolare gli eventi a suo vantaggio, perfetto per guidare senza scrupoli una potente multinazionale produttrice di alta tecnologia. Il nuovo ambito e costoso prodotto della compagnia è l’avveniristico smartphone Ghost 9000, attorno al quale si scatenano sanguinosi e inspiegabili omicidi. John Ghost decide così di ingaggiare Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo, e lo incarica di risolvere il mistero.
Scatenare il caos per mantenere l’ordine costituito. Su quest’apparente ma realistica contraddizione Roberto Recchioni, curatore editoriale di Dylan Dog, costruisce John Ghost, nuovo villain della serie e nemesi complementare dell’indagatore dell’incubo. Nei numeri scorsi sono stati introdotti i primi cambiamenti del nuovo corso narrativo: il pensionamento dell’ispettore Bloch, la sua nuova vita nella misteriosa Wickedford e il suo ostile sostituto.
Per un alleato che se ne va, dunque, arriva un nuovo cattivo. Angelo Stano, disegnatore del prologo e dell’epilogo dell’albo (oltre che della copertina, come di consueto), realizza un capolavoro di sintesi grafica delineando John Ghost e il suo opulento stile di vita in poche vignette con dettagli precisi e ragionati nella mimica facciale e corporea del personaggio che comunicano immediatamente al lettore le sue peculiarità.
La caratterizzazione del villain è incredibilmente complessa, più di quanto appaia. Il parallelismo con John Doe, protagonista della serie creata da Recchioni insieme al compianto Lorenzo Bartoli per l’Aurea Editoriale, è inevitabile, sia per le somiglianze più superficiali tra i due personaggi, sia per la loro natura metanarrativa, ma sono anche separati da profonde differenze.
A rendere John Ghost la perfetta controparte antitetica dell’indagatore dell’incubo non sono solo la diversa estrazione sociale o l’avversione di Dylan per la tecnologia. I due personaggi rappresentano l’opposta visione del mondo dei rispettivi creatori, Recchioni e Tiziano Sclavi. Freddo calcolatore e opportunista, Ghost non è altro che un ingranaggio del sistema immorale nel quale viviamo e possiede la capacità sovrannaturale di scatenare un caos preordinato che torni a proprio vantaggio. L’ostentata superiorità etica dell’antieroe Dylan, intessuto senza via di scampo nello stesso sistema, è quindi destinata ad essere sconfitta.
L’indagatore dell’incubo si trova suo malgrado a possedere uno smartphone Ghost 9000. Non è un semplice pretesto narrativo per farlo familiarizzare con uno strumento a lui notoriamente inviso né la storia si siede sulla consueta metafora dei cellulari che s’impossessano della mente degli esseri umani, già sfruttata da Sclavi ne Il progetto, n. 176 della serie. Si tratta invece di un feticcio sporco di sangue in cui vengono catalizzate brutalità, indifferenza ed ipocrisia.
Assume connotati più leggeri e divertenti il rapporto di Groucho con la sintetica personalità femminile dello smartphone, a citare Lei, recente capolavoro cinematografico di Spike Jonze. Il singolare assistente dell’indagatore dell’incubo, da sempre incapace di relazionarsi con le donne, tranne rarissime e brevi eccezioni, non può che trovarsi a suo agio con un programma realizzato per venire incontro alle esigenze del suo proprietario.
Altra comprimaria di Dylan nel corso dell’avventura è Elisabeth Moon, algida, distaccata nonché bellissima assistente di Ghost che mostrerà gradualmente un lato più umano in contrapposizione al suo ruolo professionale. Lo sceneggiatore rende un divertente omaggio esplicito ad Alan Moore. Nel corso della narrazione emergono molte delle tematiche e degli elementi cari al geniale fumettista inglese, dall’esoterismo al conformismo in un società corrotta. Tra i numerosi rimandi ad opere e personaggi della cultura popolare, particolarmente gustoso il tributo a James Bond che favorisce la scena d’azione più spettacolare dell’albo.
La storia è piuttosto lineare, la sceneggiatura è attenta ed ispirata. Nonostante l’introduzione di un personaggio così affascinante come John Ghost, è sempre Dylan a restare al centro della narrazione. I dialoghi sono funzionali e gradevoli, la costruzione delle tavole sempre eclettica ma più controllata rispetto ad alcune prove dell’autore. Il tratto realistico di Daniele Bigliardo conferisce un’eccezionale espressività fisiognomica ai personaggi, denota una cura certosina dei particolari scenografici, soprattutto in alcune suggestive vignettone, e nell’inchiostrazione di penombre sfumate.
Sono finiti i tempi delle prediche retoriche e moraliste di Dylan di fronte ad un avversario cinico e realista che ne mette in mostra tutta l’ipocrisia. Potentissima ed attuale metafora sociopolitica ed economica, come nella miglior tradizione della serie, lo scontro filosofico tra l’indagatore dell’incubo e John Ghost ne promette delle belle ed apre scenari interessanti per il prosieguo della narrazione.