Orfani – Ringo n. 3: Città aperta – Recensione
Pubblicato il 16 Dicembre 2014 alle 23:18
“Un mondo che divora i suoi figli, non è un mondo che vale la pena di salvare.” Mentre abbraccia il suo nuovo ruolo di padre, Ringo e i suoi tre giovani compagni, Seba, Rosa e Nuè, giungono in una lugubre Roma post-apocalittica, braccati dai Corvi, circondati da mostruosi reietti e diretti verso il Vaticano dominato dalla misteriosa Signora.
Giovani speranze del domani e adulti che ne distruggono il futuro. Per questo Natale, Roberto Recchioni regala ai suoi lettori la miglior sceneggiatura realizzata finora su Orfani, la serie di fantascienza Bonelli concepita insieme all’ideatore grafico Emiliano Mammucari. Il viaggio dei protagonisti attraverso l’Italia devastata dal “grande bagliore” giunge a Roma, città d’appartenenza dell’autore che cita, nel titolo della storia, il capolavoro cinematografico di Roberto Rossellini sulle vicende di alcuni membri della resistenza contro l’occupazione nazifascista della capitale.
La storia è incentrata su uno dei temi più importanti di questa seconda stagione, una metafora sul rapporto tra giovani e adulti, genitori e figli, una riflessione sul domani strappato alle nuove generazioni. La relazione tra Ringo e i tre nuovi orfani, Seba, Rosa e Nuè, giunge ad un punto di svolta e vediamo l’ex-pistolero comportarsi come un padre protettivo ma anche come educatore severissimo, addirittura disempatico.
La visione decadente di Roma fornita dallo sceneggiatore è tradotta dai disegni di un Carlo Ambrosini magistrale, al suo esordio sulla serie, collaboratore di lunga data della Bonelli e su Dylan Dog in particolare, attualmente proprio sotto la cura editoriale di Recchioni. L’illustratore raffigura alcuni dei luoghi più caratteristici della capitale trasformati in autentiche “trappole per turisti” dove predoni mostruosi, grotteschi, sporcati dalle chine, attendono il viandante da derubare e violentare.
Su tutto domina un Vaticano matriarcale, controllato dalla Signora, personificazione di una madre Chiesa ipocrita, la cui funzione salvifica cela scopi abbietti che tendono al possesso, alla sottomissione e alla violazione dell’innocenza dei suoi figli. Giovanna Niro getta un fascio di luce suggestiva sulla Pietà michelangiolesca scolpita da Ambrosini cui si contrappone concettualmente la glaciale professoressa Juric, madre crudele che si accanisce sui Corvi riportandoli in vita in un tormento infinito.
Al termine della consueta spirale di violenza e splatter, nella quale trova spazio solo una timida parentesi di eros, Ringo mostra la sua vera natura alla luce di un tramonto rosso sangue, in una delle più belle splash-pages viste sulle pagine di Orfani, vetta grafica dell’albo in cui il protagonista appare deformato da odio e rabbia, spaventoso, minaccioso, irrimediabilmente dannato ma anche in cerca di redenzione attraverso i suoi figli putativi.