Guardiani della Galassia – Recensione

Pubblicato il 23 Ottobre 2014 alle 12:54

1988. Dopo aver assistito alla morte della madre, il piccolo Peter Quill viene rapito da una ciurma di pirati spaziali guidati da Yondu Udonta. Ventisei anni dopo, Quill, ora soprannominato Star-Lord, ruba un misterioso ed ambito artefatto per il quale verrà braccato dall’assassina Gamora e da una coppia di cacciatori di taglie, l’albero vivente Groot e il procione geneticamente modificato Rocket. Catturati dai Nova Corps, i quattro finiscono in carcere dove conoscono Drax il Distruttore, un possente guerriero col quale dovranno allearsi per salvare la galassia dal perfido Ronan l’Accusatore.

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Nonostante il grande successo riscosso finora, la saga cinematografica dei Marvel Studios è stata raramente contraddistinta da particolari guizzi autoriali. I singoli film sono stati affidati perlopiù ad onesti mestieranti come i fratelli Russo, Joe Johnston, Jon Favreau o Alan Taylor, con risultati quantomeno discutibili, ma non a registi in grado di lasciare una propria impronta riconoscibile, probabilmente perché la volontà della casa di produzione è quella di mantenere una certa coerenza stilistica tra i vari capitoli della serie rifuggendo cineasti dalla visione più eccentrica. Si veda, tanto per fare un esempio, come il geniale Edgar Wright abbia abbandonato la regia di Ant-Man per divergenze creative lasciando il posto ad un anonimo Peyton Reed.

Pur se ambientato nello stesso universo, Guardiani della Galassia risulta staccato da quella che è la storyline principale dei Vendicatori, il che ha permesso una maggior libertà creativa al regista James Gunn il cui nome è legato soprattutto alla Troma, piccola casa di produzione indipendente che realizza spassosi ed irriverenti b-movie d’exploitation. In particolare, Gunn ha firmato l’horror Slither, disgustoso nel senso più ludico del termine, e Super, già dal forte sapore fumettistico.

Stavolta l’autore si cimenta in una space-opera stile Star Wars venata da un tono nostalgico che si rifà proprio a quel periodo in cui uscì la celebre trilogia firmata da George Lucas, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. Un’atmosfera che viene ricreata attraverso molteplici riferimenti alla cultura pop dell’epoca, in particolar modo grazie alla colonna sonora che comprende, tra gli altri, brani dei Jackson 5, dei Raspberries e di David Bowie.

Musiche sulle quali si muove danzando Chris Pratt nel ruolo di un accattivante Peter Quill guascone e canaglia. La musicassetta nel suo walkman è l’unico legame al suo pianeta d’origine e ogni trentenne può immedesimarsi nella dolce malinconia di quei ricordi d’infanzia. Il rapimento del piccolo Peter subito dopo la morte della madre appare come la fuga di un bambino da una realtà terribile in un variopinto mondo di fantasia.

Ormai veterana dei film di fantascienza, Zoe Saldana passa dalla pelle blu della na’vi di Avatar all’epidermide verde di Gamora, dalla divisa della Flotta Stellare di Star Trek al completo di pelle dell’assassina in cerca di redenzione. Le fa da contraltare in una perfetta dicotomia la spietata sorellastra Nebula, entrambe figlie adottive del tiranno Thanos, interpretato in motion capture da Josh Brolin, habitué dei cinecomics (Jonah Hex, Men in Black 3, Oldboy, Sin City – Una donna per cui uccidere).

Peter e Gamora fungono da principale motore emotivo della storia e rappresentano il perno su cui ruota la reciproca evoluzione interiore. A loro si affianca la singolare coppia composta da Rocket Raccoon e Groot. Il procione geneticamente modificato ha la voce di un appropriato Bradley Cooper ed è il personaggio più divertente e politicamente scorretto del film mentre l’albero vivente, doppiato da Vin Diesel, riesce ad esprimere a suscitare un’incredibile gamma di emozioni pur se il suo bagaglio lessicale è composto solo dal suo nome.

A completare il gruppo, il wrestler Dave Bautista fornisce i muscoli al brutale guerriero Drax assetato di vendetta nei riguardi di Ronan l’Accusatore, riuscito villain del film, un Kree estremista, crudele, oscuro e terrificante. Il cast sontuoso comprende inoltre Benicio Del Toro nel ruolo del singolare Collezionista; Glenn Close è l’autoritaria leader dei Nova Corps e Michael Rooker è Yondu, capo dei pirati Ravager e padre putativo di Peter che metterà una taglia sulla sua testa.

La storia è piuttosto semplice e lineare, seppur non priva di qualche sbavatura, e segue il collaudato concept del gruppo di disadattati costretti a cooperare, come già visto in The Avengers. L’interrelazione tra i cinque protagonisti, ben approfonditi dalla sceneggiatura di Gunn, e la loro trasformazione da avidi antieroi a salvatori della galassia è la componente vincente della narrazione.

Croce principale di molti film Marvel sono stati finora gli eccessi comici che tendono spesso a far scadere in burletta ogni potenziale momento epico del racconto. In tal senso, Guardiani della Galassia è un film totalmente permeato dalla componente comedy ma a ragion veduta. Gunn non ha tra le mani un simbolo delle istituzioni come Captain America o una leggendaria divinità nordica come Thor, bensì un gruppo di sbandati, tra cui un procione parlante, con i quali si può divertire liberamente. Imbastisce un tono leggero alla Men in Black punteggiato di spassose gag comiche ma non a scapito dei vari apici emotivi che vengono invece esaltati con la dovuta potenza.

Avvezzo all’uso di effetti visivi artigianali, qui il regista ha a che fare con elementi in digitale di ottimo livello e li utilizza con il giusto equilibrio permettendo a scenografia e personaggi di mantenere un’efficace tangibilità. La narrazione procede tra azione, risate e qualche toccante momento intimista in un mix davvero avvincente. Occhio alle solite due scene durante i titoli di coda che riservano qualche gradita sorpresa per i Marvel-fans.

Cinque personaggi di razze differenti, spinti da motivazioni immorali, riscoprono la loro parte più genuina unendo le loro forze contro uno zelota xenofobo. Un’avventura scanzonata all’insegna del sano intrattenimento che riesce a toccare le corde emotive del pubblico. E’ l’opera più autoriale dei Marvel Studios che riconcilia con tutto ciò che dovrebbe essere il buon cinema grazie ad un regista che ha mantenuto vivo nel cuore il sense of wonder della sua adolescenza.

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