Si alza il vento – Recensione

Pubblicato il 12 Settembre 2014 alle 23:11

Jiro Horikoshi sogna di diventare un pilota d’aerei ma la sua miopia non glielo permette. Ispirandosi al progettista italiano Gianni Caproni, decide allora di diventare un ingegnere aeronautico. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, mentre la sua carriera procede tra successi e fallimenti e tormentato dall’idea che gli aerei possano essere usati come armi di distruzione, Jiro s’innamora della dolce Naoko, affetta da tubercolosi.

 

Si alza il vento

Durante il Festival di Venezia 2013, il maestro Hayao Miyazaki ha annunciato il suo ritiro dall’attività cinematografica congedandosi con Si alza il vento, la sua opera più toccante e peculiare, che si distacca dagli stilemi consueti del regista. Stavolta non si tratta infatti di un racconto favolistico bensì di un’opera biografica ispirata alla vita di Jiro Horikoshi, grande progettista aeronautico giapponese vissuto durante le due guerre mondiali e scomparso all’inizio degli anni ’80.

Il film è tratto dal manga omonimo dello stesso Miyazaki, a sua volta ispirato dal romanzo di Tatsuo Hori. Curiosamente, nel manga, Jiro viene raffigurato con il volto di un maiale, esattamente come il protagonista dell’allegorico Porco Rosso, altra opera di Miyazaki pure ambientata nel mondo dell’aeronautica militare. Quella di Jiro è la storia tragica di un sogno di progresso tecnologico reso distorto ed aberrante dalla crudeltà della guerra.

Costruire aerei diviene metafora di un’umanità pronta ad elevarsi, a spiccare il volo, ma che finisce per inabissarsi nell’inciviltà e nella barbarie della violenza. Un dilemma etico e morale che il protagonista esplora nel suo subconscio, attraverso gli incontri onirici con il visionario progettista italiano Giovan Battista Caproni, sequenze nelle quali Miyazaki può dar sfogo ad immaginifiche trovate visive.

La tormentata evoluzione delle aspirazioni professionali di Jiro procede di pari passo con la sua storia sentimentale delicata e struggente. La bella Naoko è la forza che lo sostiene, il vento che lo mantiene in volo nonostante tutto. Ma la tubercolosi che mina la salute della ragazza rende precario e flebile anche il sogno d’amore di Jiro.

Lo Studio Ghibli raggiunge qui nuove vette nel livello del disegno e dell’animazione. La mimica dei personaggi è fortemente realistica, ogni elemento tecnologico è minuziosamente dettagliato come anche le scenografie altamente suggestive.

Nonostante si tratti di un melodrammone storico di più di due ore, il film non diviene mai greve ma riesce ad ammaliare e a trascinare lo spettatore grazie soprattutto al fascino dei protagonisti, alla semplicità della narrazione che non diviene mai didascalica e si sofferma solo brevemente e laddove necessario su dialoghi di natura politica prediligendo la componente sentimentale ed emotiva.

Nel suo La vita è bella, Roberto Benigni lanciava un messaggio di ottimismo, di volontà di vivere e di andare avanti nonostante gli orrori e le sofferenze che possiamo trovarci ad affrontare. Con la sua ultima opera, Miyazaki ci dice esattamente la stessa cosa. Jiro costruisce aerei che vengono utilizzati per uccidere. La sua amata è gravemente malata.

Eppure continua a vivere spronato da qualcosa che nessun male può distruggere. Il sogno. L’amore. Come un vento che ti tiene in volo.

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