X-Men: Giorni di un Futuro Passato – Recensione in anteprima
Pubblicato il 17 Maggio 2014 alle 10:42
In un futuro distopico, i mutanti sono stati perseguitati e sterminati dalle Sentinelle progettate dallo scienziato xenofobo Bolivar Trask. Solo un gruppo di ribelli, guidato da Xavier e Magneto, tenta ancora una strenua resistenza. Con l’aiuto di Kitty Pryde, Wolverine trasferisce la sua coscienza nel suo alter ego del 1973 con lo scopo di riunire i giovani Xavier e Magneto e di impedire l’omicidio di Trask ad opera di Mystica che darà il via alla persecuzione dei mutanti.
X-Men – Giorni di un Futuro Passato
Titolo originale: X-Men – Days of Future Past
Genere: Supereroi, Fantascienza
Regia: Bryan Singer
Interpreti: Hugh Jackman, James McAvoy, Michael Fassbender, Jennifer Lawrence, Nicholas Hoult, Peter Dinklage, Patrick Stewart, Ian McKellen, Ellen Page, Halle Berry, Evan Peters
Provenienza: USA, Regno Unito
Durata: 131 min.
Casa di produzione: 20th Century Fox, Marvel Entertainment, Bad Hat Harry Productions, Dune Entertainment
Distribuzione (Italia): 20th Century Fox
Data di uscita: 22 maggio 2014 (Italia), 23 maggio 2014 (USA)
Bryan Singer, regista dei primi due episodi della saga cinematografica degli X-Men e produttore del prequel X-Men – L’inizio, riprende in mano le redini della serie con la libera trasposizione di Giorni di un Futuro Passato, story-arc a fumetti di due numeri realizzata dai leggendari Chris Claremont e John Byrne e pubblicata nel 1981. Anche la storia originale vede i mutanti perseguitati dalle Sentinelle nel futuro ma a recarsi nel passato è Kitty Pryde per impedire alla Nuova Confraternita dei Mutanti di Mystica di uccidere il senatore Kelly scatenando così la repressione dei mutanti.
Nell’adattamento cinematografico, che vede tra gli sceneggiatori Matthew Vaughn, regista di X-Men – L’inizio, è invece Wolverine ad andare indietro nel tempo. E’ evidente che l’intento sia quello di sfruttare il maggior appeal del personaggio interpretato da Hugh Jackman nei riguardi del pubblico. Purtroppo gran parte del sontuoso cast messo su per il film è relegato a poco più che dei camei. Patrick Stewart, Ian McKellen, Ellen Page e Halle Berry tornano nei loro ruoli originali ma i loro personaggi restano confinati nella parte ambientata nel futuro dove fanno il minimo sindacale.
La storia prosegue più che altro la parabola fantastorica iniziata in X-Men – L’inizio dove i mutanti intervenivano nella crisi missilistica di Cuba. Stavolta siamo invece nel tumultuoso periodo della guerra del Vietnam con Richard Nixon alla Casa Bianca. James McAvoy torna ad interpretare il giovane Xavier, traumatizzato dopo i fatti dell’episodio precedente ed autoesiliatosi nel suo castello. Nicholas Hoult è di nuovo Bestia, l’unico di cui Xavier accetti la compagnia. Con un pretesto che potrebbe risultare irritante ai puristi del fumetto, gli sceneggiatori hanno trovato il modo di non relegare McAvoy sulla sedia a rotelle per tutto il film e di non avere Hoult perennemente ricoperto di pelo blu, così da accontentare le fans dei due attori.
Xavier è il personaggio maggiormente approfondito soprattutto in relazione alla perdita di Mystica e Magneto. Michael Fassbender torna ad indossare il casco del leader della Confraternita dei Mutanti, sempre più rancoroso nei confronti degli umani. Se, nel prequel, Magneto era il Terminator della situazione, questa volta tocca invece a Mystica fare la Terminatrix il cui unico scopo è uccidere Bolivar Trask. Vengono così evitate le stucchevoli dinamiche sentimentali young adult di X-Men – L’inizio ma Jennifer Lawrence, attrice premio Oscar, risulta sprecata nel tratteggiare un personaggio puramente action.
Male utilizzato anche Peter Dinklage, la cui caratura attoriale è inversamente proporzionale alla sua statura. Dopo aver conquistato il cuore dei fans di Game of Thrones, interpreta qui Bolivar Trask, una sorta di Mengele che ha pochissimo spazio ed è monodimensionale. La presenza nel film di Quicksilver, interpretato dal giovane Evan Peters, ha fatto discutere poiché il mutante velocista comparirà anche in Avengers – Age of Ultron con il volto di Aaron Taylor-Johnson. Si tratta infatti del figlio di Magneto ma anche di un membro dei Vendicatori. Qui ricorda molto l’Impulso della DC Comics e, a patto di accettarne la rilettura, funziona abbastanza bene anche se il legame di parentela con Magneto resta implicito e risulta quasi una coincidenza.
Con l’espediente del viaggio nel tempo, Singer e gli sceneggiatori hanno preteso di collegare i personaggi della saga principale con quelli del prequel, di risistemare alcune incongruenze e dare un colpo di spugna ai fatti di X-Men 3, l’episodio più detestato dai fans. In realtà il film suscita più domande che risposte. Ad esempio, la storia parte dal presupposto che Mystica ha ucciso Trask nel 1973. La linea temporale non è ancora stata modificata, quindi si tratta di un fatto storico che rientra nella continuity principale. Ma in X-Men 3, ambientato nel presente, Trask era vivo e vegeto (interpretato da Bill Duke) e i mutanti erano perseguitati. Quindi la tesi secondo cui salvare Trask eviterebbe le tragedie future non regge. Inoltre, il retcon finisce per cancellare anche il finale di X-Men 2 e la scena dopo i titoli di coda di Wolverine – L’immortale si collega abbastanza male alla storia qui raccontata.
La trama è fin troppo lineare e prevedibile ma il film ha comunque buon ritmo e i 131 minuti di durata vanno giù come un bicchiere d’acqua. Ci sono buoni spunti di regia e divertenti gag action con una spruzzata di umorismo ben calibrato. Nonostante la mediocrità degli effetti digitali e un 3D da buttare, la battaglia finale denota una buona dose di spettacolarità anche se manca della giusta enfasi epica e tutto viene risolto sul piano più intimista. Alla colonna sonora torna John Ottman che aveva musicato X-Men 2 e ne ripropone qui l’esaltante tema principale. La scena dopo i titoli di coda apre al già annunciato sequel X-Men – Apocalypse.
Si ha la sensazione che dopo i flop recenti, Bryan Singer sia tornato al franchise che lo ha consacrato dopo il successo de I Soliti Sospetti limitandosi però a mettere il suo mestiere al servizio di un compitino retcon fatto e finito che, oltretutto, ingarbuglia ancor più la continuity. Funziona come mezzo d’intrattenimento ma da un autore come Singer, da un cast di questo livello e, tenendo in considerazione il materiale originale, era lecito aspettarsi molto di più.