12 Anni Schiavo, la recensione del film premio Oscar

Pubblicato il 4 Marzo 2014 alle 10:00

1841. Il violinista di colore Solomon Northup vive libero nello Stato di New York con la moglie Anne e i figli Margaret e Alonzo. Ingannato da due sedicenti agenti di spettacolo, Solomon viene catturato e condotto in Louisiana dove resterà in schiavitù fino al 1853 passando da un padrone all’altro. Finirà nella piantagione di cotone del perfido schiavista Edwin Epps e la lotta per la sopravvivenza sarà sempre più dura.

12 anni schiavo12 Anni Schiavo

Titolo originale: 12 Years a Slave
Genere: Biografico, drammatico, storico
Regia: Steve McQueen
Interpreti: Chiwetel Ejiofor, Lupita Nyong’O, Michael Fassbender, Paul Giamatti, Benedict Cumberbatch, Brad Pitt
Provenienza: USA, Regno Unito
Durata: 134 min.
Casa di produzione: Regency Enterprises, River Road Entertainment, Plan B Entertainment, New Regency Pictures, Film4
Distribuzione (Italia): BIM Distribuzione
Data di uscita: 8 novembre 2013 (USA), 20 febbraio 2014 (Italia)

Il tema della schiavitù dei neri in America tra il 17° e il 18° secolo sembra andare per la maggiore ad Hollywood da qualche tempo a questa parte. Quentin Tarantino ha aperto il discorso con il pulp-western Django Unchained, Steven Spielberg ha proseguito con Lincoln ed ora il regista inglese Steve McQueen, autore dei controversi Hunger e Shame, si cimenta con la trasposizione dell’autobiografia di Solomon Northup.

Già tra gli interpreti di Amistad di Spielberg, sempre sullo stesso tema, un intenso Chiwetel Ejiofor è il protagonista della storia, strappato alla sua famiglia e privato di ogni diritto. Finisce dapprima tra le grinfie di Paul Giamatti in veste di crudele, quasi macchiettistico, commerciante di schiavi. Viene così venduto prima ad un benevolo possidente reso da un ammaliante Benedict Cumberbatch, e poi ad Edwin Epps, spietato schiavista con lo sguardo folle e glaciale di Michael Fassbender, già accanto a McQueen nei due film precedenti.

Epps risulta una sorta di bambinone cresciuto, succube della moglie come fosse sua madre e può ricordare per molti versi il perfido Amon Goth interpretato da Ralph Fiennes in Schindler’s List. Pur considerando gli schiavi degli esseri inferiori, infatti, Epps subisce il fascino della schiava Patsey che ha gli occhioni profondi e tristi di Lupita Nyong’O che cerca sostegno in Solomon.

La vicenda si dipana attraverso alcuni spunti interessanti. Anzitutto i differenti modi di affrontare la lotta per la sopravvivenza, dalla disperazione al servilismo opportunista fino ad un terribile, inevitabile cinismo. Emerge poi il tema religioso, laddove schiavi e schiavisti sono entrambi credenti ma interpretano la fede dalle rispettive prospettive. E sono proprio cinismo e pragmatismo che sembrano spingere Solomon ad affrancarsi da quel Dio che lo ha abbandonato.

McQueen mostra in tutta la loro violenza alcune delle più sadiche torture a cui il protagonista è stato sottoposto e ci imprigiona con lui nella piantagione di cotone tra frustate ed esecuzioni sommarie. Lo spettatore non ha percezione degli anni che passano e si percepisce la schiavitù come un monotono limbo in cui ogni giorno è uguale al precedente. La struttura del film è semplice e lineare, appassionante e trascinante, e non si sentono affatto i 134 minuti di durata.

Certo, qualche punto debole c’è. La fedeltà al materiale originale tende ad appiattire alcune situazioni, c’è qualche scena facoltativa e qualche didascalia di troppo. Brad Pitt, co-produttore del film, ha un autocompiacente cameo come illuminato abolizionista puramente funzionale. Anche la colonna sonora di Hans Zimmer è piuttosto stanca e non lascia il segno.

Il messaggio dell’opera può essere scontato e risultare addirittura ostentato ma regala momenti di grande potenza emotiva attraverso ottimi spunti di regia ed interpretazioni sontuose calate in una ricostruzione storica tangibile. Lascia il segno come una frustata ma penetra ancor più in profondità come lo sguardo di uno schiavo arrabbiato e disperato al contempo.

Voto: 8,5

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