Last Man vol. 1, la recensione del “manga” di Bastien Vivès
Pubblicato il 10 Marzo 2014 alle 09:45
Un torneo di arti marziali. Un bambino dal grande potenziale e un enigmatico straniero. Botte e invocazioni. Dalla Francia arriva The Last Man, omaggio ai manga shonen di combattimento di Bastien Vivès.
Last Man, vol. 1
Autori: Bastien Vivès, Balak, Michaël Sanlaville
Casa Editrice: Bao Publishing
Genere: Arti marziali esistenziali
Provenienza: Francia
Prezzo: 16 Euro, 216 pp. colore & b/n, 15×21
Data di pubblicazione: Febbraio 2014
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Il torneo di arti marziali è, da Dragon Ball a Naruto, uno dei topoi più utilizzati nei manga da decenni. Anche Last Man di Bastien Vivès (Il Gusto del Cloro, Poline), Michaël Sanlaville e Balak è ambientato durane un grande torneo, ma non è solo il setting di base a palesare le intenzioni dei tre autori francesi. L’utilizzo di temi, personaggi e soluzioni stilistiche proprie del “manga di arti marziali” è costante in tutto il primo (di sei) volume di quest’opera.
Ecco quindi che in una città medievale di stampo europeo il piccolo Adrian Velba, improvvisamente senza un compagno il giorno stesso del Grande Torneo a coppie, incontra il misterioso straniero Richard Aldana (che fisicamente ha più di qualche punto in comune con Ken il Guerriero), anch’egli senza partner. Insieme affronteranno avversari adeguatamente freak come si conviene ai nemici di mezza tacca di ogni fumetto giapponese. Non mancano poi il coetaneo/rivale e l’amica d’infanzia/love interest(?) del protagonista, il tutto condito da arti magiche.
Dati questi elementi sarebbe stato facile per gli autori trattare il tutto con superiorità facendosi gioco di situazioni diventate capisaldi di generazioni di manga. Fortunatamente in Last Man il materiale di partenza viene reinterpretato con rispetto e passione, con riusciti innesti di sensibilità e ironia “francesi”. Un esempio è il momento “fanservice” in cui la madre di Adrian entra nel fiume, trattato sicuramente in maniera diversa da come avrebbe fatto un mangaka shonen (per ragazzi). O il maestro Jensen, evoluzione dei maestri pervertiti alla Muten o Jiraya.
Passando al disegno, l’influenza giapponese si vede chiaramente nello storyboard (Balak e Sanlaville sono storyboardisti di fama internazionale) in cui trovano spazio classiche costruzioni dei manga come le vignette “di reazione” dei personaggi a quello che accade sul ring oppure, proprio nell’ultima pagina, i volti degli sfidanti in primo piano mentre loro si affrontano sullo sfondo (tipica inquadratura finale negli episodi di un anime). Vivès, che si è diviso con Sanlaville le matite, si dimostra (sorprendentemente?) capace di illustrare anche le scene di combattimento e non cerca di prodursi in uno stile nipponico, altra prova dell’onestà dell’operazione. Sarebbe stato forzato e inutile. In Last Man si punta a fare il meglio sfruttando i propri talenti.
Amore per le fonti, studio e tanto sano divertimento (come dimostra il giornale di bordo a fine volume) sono alla base di questo tutto. Si divertirà anche il lettore, che sia un appassionato di manga (e in questo caso c’è anche il piacere di cogliere tutti i riferimenti) o no, perché un bel fumetto si rivolge e può appassionare tutti. E Last Man è un ottimo fumetto.