Le Città Viste dall’Alto – Speciale “Anno Uno”
Pubblicato il 10 Marzo 2014 alle 12:50
Le città viste dall’alto è il suggestivo titolo di una bellissima collana di Bao Publishing che lo stesso editore descrive come “una collana di storie che non potrebbero succedere altrove, ma potrebbero succedere a te”.
Sulla pagina wordpress a lei dedicata troviamo anche una citazione ai Massimo Volume che ne coglie l’essenza:
Le città viste dall’alto mi ricordano i viaggi nello spazio L’ attimo in cui le macchine, i palazzi le nostre giustificazioni cessano di essere quello che sono E diventano macchie e poi punti e poi niente assolutamente niente Viste a quella distanza dove la gravità é solo un ricordo
Questa collana si compone di tre titoli all’anno che raccontano storie di vita vissuta (o immaginata) in luoghi il più delle volte reali che prendono forma attraverso la penna (o la matita, gli acquerelli o l’inchiostro) degli autori.
Si tratta di storie che colpiscono per la capacità di toccare il lettore nel profondo grazie alla loro genuinità, alla loro bellezza ed alla universalizzabilità dei temi trattati (il lavoro, l’amore, la ricerca di sè, il processo di crescita dell’individuo).
L’immedesimazione nei protagonisti di queste opere è praticamente immediata e rappresenta il punto di forza di tutte e tre quelle pubblicate finora, ovvero Fermo di Sualzo, Un lavoro vero di Alberto Madrigal e Ogni piccolo pezzo di Stefano Simeone.
Ho incontrato tutti e tre gli autori a Lucca ed ho avuto modo, anche successivamente, di parlare un po’ con loro. Si tratta di tre persone stupende, ciascuna con il proprio carattere e le proprie peculiarità ma con un denominatore comune: persone interessanti e fumettisti seri e talentuosi.
Ecco di seguito, il risultato delle nostre chiacchierate.
Sualzo
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Con la sua folta barba fulva, Sualzo ha l’aria a metà tra un Van Gogh dei nostri tempi ed un jazzista consumato.
Dopo le prime battute si ha subito la percezione di chiacchierare con un vecchio amico che non si vede da tempo. Precisamente la stesa sensazione che ho provato leggendo “Fermo”.
Armando Perna: Nei tuoi lavori si avverte molto il rapporto tra due delle tue passioni: il fumetto e la musica. Come, secondo te, queste due forme d’arte interagiscono?
Sualzo: Non so bene come potrebbero interagire in senso assoluto, (oltre alle ovvie implicazioni del tipo: pensare a una musica da ascoltare mentre si legge il fumetto, a mo’ di colonna sonora), so però come interagiscono nel mio processo creativo. Cerco sempre di condurre la scrittura di una storia con una scansione ritmica molto serrata, bilanciando le dinamiche come farei con una partitura musicale. Nella musica risulta molto più evidente che non nella scrittura quando ci sono delle parti che girano un po’ a vuoto, quando ci sono dei riempitivi. Pensare “musicalmente” mi ha insegnato a essere rigoroso ed essenziale nel considerare solo quello che è indispensabile al fumetto che sto scrivendo. Per il tipo di storie che voglio raccontare, in cui è chiara l’importanza che riveste il “come” e a cui istintivamente ci si affiderebbe completamente, tutto ciò mi obbliga a considerare con lo stesso peso anche il “cosa”.
Un’immagine comune a “L’improvvisatore” ed a “Fermo” è proprio quella di un musicista che improvvisa: perché hai scelto questo simbolo?
Il musicista che improvvisa è un’immagine a cui sono affezionato perché trovo che sia una delle rappresentazioni più efficaci dell’ “espressione”. Perché è nell’assoluta libertà, data da una perfetta preparazione che lo rende capace di scegliere qualunque strada, nel momento esatto in cui la imbocca. Ne “l’improvvisatore” facevo dire a un personaggio: “Sorprendersi di sapere cosa fare”. Inutile dire che questa è un’aspirazione e che io sono ben lontano dall’obiettivo (anche come musicista, sob).
“Fermo” è un titolo anch’esso simbolico, a mio avviso. Quando è nata la tua idea, o il tuo bisogno, di raccontare questa storia?
A me sta molto a cuore parlare dei processi di conoscenza di sé e degli altri. Negli anni ho vissuto delle esperienze forti che mi hanno spinto a confrontarmi con la mia parte oscura, quella che mi fa paura e che cerco di conoscere il meno possibile. Quella che, per questo motivo, faticosamente ho cercato sempre di tenere nascosta. Sono stato obbligato da una serie di eventi ad andare a conoscerla e da questo sono scaturite molte cose che mi sembrava interessante raccontare. Ho voluto però prima aspettare e vedere dove mi avrebbero portato queste cose. Alla fine del percorso ho cominciato a scrivere come era iniziato. Quindi diciamo che l’idea è nata una decina di anni fa ma il bisogno di fare questo libro è venuto solo tre anni fa.
Com’è stato lavorare con Bao Publishing e partecipare alla collana “Le città viste dall’alto”?
Sualzo – Al netto dell’amicizia e dell’affetto che da tempo abbiamo reciprocamente, lavorare con Caterina e Michele e la squadra che hanno messo in piedi è gratificante sia dal punto di vista umano che da quello professionale: la considerazione che hanno degli autori che scelgono è tangibile e il supporto che danno loro è totale. In più ho avuto l’onore di aprire una collana che, ho la certezza, porterà alla luce delle grandi firme del fumetto italiano.
Su che cosa sei al lavoro attualmente?
Sto scrivendo una nuova storia, nel frattempo ci sono diversi progetti che stanno prendendo forma. Uno in particolare è veramente folle, insieme alla mia socia di sempre Silvia Vecchini, unirà poesia e fumetto in una formula inedita e, appunto, folle. Nemmeno a dirlo, appena ho descritto questa mia idea in Bao mi hanno risposto subito: “troviamo il modo di farlo!”.
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Alberto Madrigal
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Siamo a Lucca davanti allo stand Bao e ci intratteniamo a parlare con Alberto Madrigal. Ha un sorriso contagioso, una scintilla negli occhi vispi e parla un italiano spagnoleggiante che ispira subito simpatia. Simpatia meritata, visto il suo carattere ed il suo fare cortese mentre gli acquerelli danzano sul foglio.
Qualche giorno più tardi, leggendo Un lavoro vero, ho ritrovato lo stesso calore e lo stesso entusiasmo percepito dal vivo.
Armando Perna: Fino a che punto “Un lavoro vero” è una storia autobiografica e quando comincia il desiderio di raccontare una generazione che ha tratti comuni in diversi paesi europei (non a caso il tuo libro è pubblicato in diverse lingue)?
Alberto Madrigal: È autobiografica nell’idea e nelle situazioni ma non tanto nei dettagli.
Il desiderio è nato come cura dell’ansia che provavo avendo un lavoro vero, pagato benissimo, che volevo lasciare per fare i fumetti. Al momento non ho pensato che fosse il riflesso di una generazione, l’ho capito una volta finito, quando si è cominciato a parlare del libro. Per me era una storia così personale legata al mestiere di fumettista che non riuscivo a vederla dall’esterno.
In “Scrivere disegnando” esprimi un concetto che molti artisti, prima di te, hanno esplorato (e che diversi studiosi come G. Lukács, W. Benjamin, T. W. Adornohanno hanno analizzato). Utilizzando delle belle immagini compi una riflessione sul processo creativo. Secondo te a qual è il confine tra un’opera come forma d’arte e come prodotto culturale destinato alla vendita? Come si può trovare un equilibrio e quanto pesa sulla creatività il fatto che si tratti anche di un “lavoro”?
Per il mio modo di lavorare, non faccio distinzione tra un’opera come forma d’arte e come prodotto culturale destinato alla vendita. O provo a non farlo, almeno quando scrivo e disegno le mie storie, cioè quando sono pienamente libero. Addirittura con le illustrazioni su commissione, che ho sempre vissuto male perché c’era un cliente che voleva continuamente delle modifiche, ho cambiato approccio: adesso le disegno come le sento, senza voler fare finta o bella figura. Ovviamente questo spesso diventa un problema per i lavori d’illustrazione.
Tornando alle storie, è ovvio che se durante il processo creativo ne parli con il tuo editore o con una persona con cui sei in confidenza, il risultato sarà diverso da quello che verrebbe fuori se lo facessi chiuso nel tuo studio. Ma la decisione finale rimane sempre a te: non sei obbligato a seguire dei consigli se non sei d’accordo.
Nella ricerca del tuo “stile personale” (ed in generale sul fare fumetti) quanto incidono le nuove tecnologie? Quali sono gli strumenti che preferisci: quelli tradizionali o quelli elettronici?
Il mio stile cambia a seconda dello strumento che utilizzo. Se lavoro in digitale, il disegno verrà più pulito ed “evoluto” di quello ad acquerello o, in generale, su carta.
La mia opinione su cosa preferisco cambia ogni mese. Per ora disegno sulla carta, che mi da delle limitazioni di cui ho bisogno per esprimermi, e faccio i colori in digitale. Ma mi mancano molto gli acquerelli…
Com’è stato lavorare con Bao Publishing e partecipare alla collana “Le città viste dall’alto”?
Un’esperienza bellissima. Lo dico sinceramente, mi trattano bene e sono molto professionali. Questo è molto importante, giacché lavorare da solo per un anno su un libro non è facile; ed avere un editore bravo con cui puoi essere sincero è fondamentale.
Sono anche molto contento di far parte della collana “Le città viste dall’alto”. Mi piace come concetto ed è bello andare ai festival insieme con Sualzo e Stefano Simeone, persone con cui mi diverto molto e mi sento a casa.
Di cosa parlerà il tuo prossimo libro?
Parlerà di come non vediamo le cose belle della vita perché siamo troppo presi dalla merda che li copre :)
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Stefano Simeone
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A vedere il suo autore così estroverso non immaginereste mai quanto sia intimo Ogni piccolo pezzo. Ma si sa, i veri estroversi altri non sono che degli intimisti che hanno lavorato molto su di sé.
Così, tra una battuta ed una pennellata arancione, eccoci personalizzata la nostra copia di un libro che merita di essere condiviso con gli amici di sempre o con le persone a cui volete davvero bene.
Armando Perna: Il tema dell’immaginazione e dei diversi livelli di percezione della realtà è il leitmotiv di “Ogni piccolo pezzo” ma anche di “Semplice”. Quale credi che sia il ruolo dell’immaginazione nella vita delle persone e della collettività?
Stefano Simeone: Credo che la maniera in cui percepiamo la realtà sia ciò che ci rende individui differenti e ben distinti. Spesso l’immaginazione “necessaria” non per forza è quella che ci astrae da una cosa e ci proietta in mondi fantastici, ma è appunto una sensibilità ben definita e che varia moltissimo. Non credo esisterebbe la società se gli individui che la compongono non avessero, tutti, anche il più realista, un qualche tipo particolare, più o meno visibile, di astrazione.
Altro elemento dominante dei tuoi lavori è “il caso”. È una scelta istintiva (ed in un certo qual modo “casuale”) o c’è un concetto specifico che vuoi trasmettere ai tuoi lettori?
Spesso le scelte effettive di narrazione sono istintive. Dipende da cosa sto ascoltando, da cosa ho fatto la sera prima e da chi c’è con me in studio. Mi piace farmi influenzare dall’ambiente e dal mio vissuto quotidiano. Questo modo di lavorare, ovviamente, non riesce a darti un rigore e un controllo totale su quello che stai facendo; si rischia un po’, ma è molto più stimolante. Per me, è intrigante sapere che quella scena non sarebbe stata la stessa, se l’avessi scritta in una giornata di pioggia invece che in Agosto.
In Ogni Piccolo Pezzo, nello specifico, il “caso” era proprio una tematica (forse “la” tematica) fondamentale; quindi, almeno nella struttura del libro e nel ritmo, ho dovuto mantenere una composizione abbastanza rigida. Molti “elementi casuali” che sembrano colpire i protagonisti sono in realtà stati pensati e ripensati, e messi proprio in quel punto per un motivo specifico. Detto questo, mi sono lasciato comunque tanta libertà.
Perché hai scelto il fumetto come mezzo espressivo? Cos’ha, a tuo giudizio, questo strumento in più (o in meno) di altri?
Lo puoi fare in camera tua. Da solo. Se hai bisogno una scena in cui un miliardo di alieni in armatura distruggono una città, la disegni e basta, senza chiedere ad un produttore se è fattibile. Scherzo, anche se un po’ è vero. Quando fai un fumetto, sei scenografo, attrezzista, costumista, sceneggiatore, regista e fonico: hai il controllo totale della tua opera, hai gli strumenti per farla esattamente come vorresti.
Per quando riguarda il fumetto inteso come linguaggio, invece, mi piace molto usare un tipo di narrazione e giocare con gli strumenti che il fumetto offre. fare delle cose che difficilmente potrebbero essere trasposte in un altri media. Il semplice voltare pagina, ad esempio, o l’onomatopea che si sovrappone al testo, la voce narrante che dialoga con i personaggi oppure la semplice ripetizione delle vignette sono elementi importanti: una volta che si impara ad usarli, entrano un po’ nel tuo modo di pensare, crei nella tua mente una scena già “pensandola” a fumetti. Una sequenza venuta bene, per me, è quella che alla fine non mi fa dire “oh, pensa quanto sarebbe stata figa in un film”, ma è quella che è bella proprio perché è raccontata così, con delle vignette e dei testi.
Com’è stato lavorare con Bao Publishing e partecipare alla collana “Le città viste dall’alto”?
Bello! E poi, sono in ottima compagnia! Per quanto riguarda Antonio (Sualzo) e Alberto (Madrigal), i miei colleghi de “Le città”, facciamo gruppo da poco, ma già siamo affiatatissimi.
Ti svelo un segreto: abbiamo una conversazione aperta, su facebook, nella quale, in pratica tutti i giorni, ci scambiamo, idee, impressioni e disegni. Ultimamente, loro mi fanno vedere tavole romantiche, dolci e bellissime. Io metto quelle di Long Wei (il numero 9, Aurea Editoriale): un fumetto dove si menano come fabbri incazzati. Caterina (Marietti, CEO di Bao, anche lei nella conversazione), in genere mette emoticon.
Quali sono i progetti che ti vedono impegnato al momento?
In questi giorni, come ho accennato sopra, sto lavorando sia ai disegni di Long Wei che ai colori di Orfani (SBE). Ho cominciato a scrivere il nuovo libro. Sarà lunghissimo e probabilmente mi divertirò molto a farlo.
Colgo l’occasione per ringraziare tutti e tre gli autori e Bao Publishing per averci dato l’occasione di leggere i loro libri e di conoscerli di persona.
A presto con Le città viste dall’alto che vedranno, in questo 2014, le opere di Sergio Gerasi e Niccolò Pellizzon, rispettivamente intitolate In inverno le mie mani sapevano di mandarino (titolo così modificato per scelta diretta dei lettori durante la conferenza stampa Bao a Lucca) e Gli amari consigli.
Stay Tuned!