L’Uomo Cangiante n. 2 – Recensione
Pubblicato il 29 Settembre 2013 alle 10:00
Continuano le deliranti vicende di Shade L’Uomo Cangiante, lo psichedelico eroe creato da Steve Ditko, con il secondo volume di una delle serie più apprezzate della Vertigo, grazie ai testi di Peter Milligan e ai disegni di Chris Bachalo!
L’Uomo Cangiante n. 2
Autori: Peter Milligan (testi), Chris Bachalo, Bill Jaaska (disegni)
Casa Editrice: RW-Lion
Genere: Supereroi
Provenienza: USA
Prezzo: €16,95, 16,8 x 25,2, pp. 192, col.
Data di pubblicazione: agosto 2013
Che Shade The Changing Man sia stata una delle serie più eversive e controverse del panorama fumettistico americano dovrebbe essere evidente a coloro che hanno avuto modo di leggere i primi episodi della memorabile saga dell’alieno proveniente dal pianeta Meta impegnato a sventare le macchinazioni del terribile American Scream. Del resto, quest’opera per anni colpevolmente trascurata dagli editori nostrani non può essere considerata minore. Con il pretesto di un’interpretazione revisionista di un oscuro eroe creato negli anni settanta da Steve Ditko, il geniale Peter Milligan ha svolto una spietata critica delle storture e delle devianze nella società statunitense.
Shade proviene dal pianeta Meta, quindi, e ha il compito di lottare contro la follia, personificata da un’entità denominata American Scream, impadronitasi della psiche collettiva degli Stati Uniti. Ad ogni regione della nazione corrisponde dunque una differente patologia mentale e Shade, con l’ausilio della cosiddetta Meta-veste che gli conferisce particolari poteri, ha curato come meglio poteva tali patologie senza avere un momento di respiro, considerando che ormai negli States la pazzia dilaga. In compagnia della bella e alcolizzata Kathy, Shade compie un viaggio on the road seguendo il flusso della follia. Come se non bastasse, l’eroe, analogamente al suo avversario, ha la capacità di concretizzare i pensieri contorti degli individui con esiti spesso sconvolgenti. Dulcis in fundo: occupa il corpo di Troy Grenzer, serial killer condannato alla sedia elettrica che ha ucciso i genitori di Kathy e la cui personalità efferata potrebbe prendere il sopravvento in qualsiasi istante.
Sin dal principio Milligan ha inserito molti elementi narrativi delineando story-line veloci e sincopate e scrivendo testi sperimentali e burroughsiani nell’impostazione. E in questo secondo tp che include i nn. 7-13 del comic-book originale l’incedere esasperato e destabilizzante della narrazione non accenna a diminuire. Peter introduce un altro importante personaggio, Lenny, bisessuale dark e cleptomane che giocherà un ruolo notevole nelle trame future. E l’American Scream continua a fare danni e sconvolge la mente di un detenuto in un episodio in cui Milligan affronta una piaga vergognosa della società americana, quella dei senzatetto, condannando aspramente l’insensibilità di una nazione che non si cura dei cittadini meno privilegiati. E Milligan la esprime con un monologo intenso e visionario che echeggia la celeberrima ‘Howl’ di Allen Ginsberg, arrivando a mimare la retorica esuberante e whitmaniana di una delle poesie più discusse del Novecento.
Shade è poi costretto a recarsi a San Francisco dove l’American Scream ha avuto la bella idea di contaminare la psiche di un ex hippie, Arnold Major. Costui è riuscito a realizzare l’utopia della Love Generation e Milligan ne approfitta per analizzare, a volte con affettuosa nostalgia, a volte con sarcasmo, gli ideali ma pure le contraddizioni di una generazione che voleva far trionfare l’amore con Woodstock ma che ha anche dato vita alle azioni sanguinarie della Family di Charles Manson. Milligan si richiama all’underground, ai testi di Leary, Kerouac e Ken Kesey, agli esperimenti con l’LSD e persino all’odierna New Age e ai simboli esoterici degli Illuminati con un insistito citazionismo: si rilevano infatti echi di Gregory Corso, Norman Mailer e Ginsberg, frasi di questi autori inserite nei dialoghi, riferimenti alle canzoni dei Grateful Dead, omaggi a riviste alternative del genere OZ e così via.
Poi Peter gioca con la fantascienza, reinterpretando la trama di un classico b-movie di Don Siegel, ‘L’Invasione degli Ultracorpi’, e inserendo Shade e Kathy in un tipico paesino di provincia che sembra uscito dagli anni cinquanta. In questa occasione l’autore attacca la mentalità fondamentalista e bigotta di quei cittadini americani legati a valori reazionari e a un’idea preconcetta di ‘normalità’. E inoltre l’episodio è una riflessione sulla natura intimamente conservatrice e fascista della science-fiction dei tempi d’oro. Ma le finalità sono sempre di denuncia e Milligan evidenzia l’ipocrisia dei buoni padri di famiglia timorati di Dio che nascondono agghiaccianti perversioni sessuali. E il tp si conclude con una sequenza in cui Shade si oppone all’altro rilevante villain della serie: Troy Grenzer. L’assassino è morto ma un residuo della sua personalità è presente nell’inconscio di Shade e le conseguenze rischiano di diventare preoccupanti.
A conti fatti, Milligan descrive sempre un unico concetto: la follia. L’American Scream è folle. Gli Stati Uniti sono folli. E’ folle il misterioso agente dei servizi segreti che dà la caccia a Shade e non è ciò che sembra. È folle l’alcolizzata e autodistruttiva Kathy che va a letto con un tipo che, almeno dal punto di vista fisico, è il maniaco che le ha ucciso i genitori. È folle Lenny, ricchissima figlia di papà che vive in un appartamentino, pensa al suicidio come a un fatto normale, ruba per passare il tempo e accetta di rimanere invischiata in situazioni assurde e deliranti senza battere ciglio. Sono folli i cittadini che hanno deciso di adorare l’American Scream fondando un culto in suo onore. E’ folle lo stesso Shade con la sua personalità confusa e scissa. È folle la scansione delle trame, caratterizzate da cambi di scena, stacchi e interruzioni arbitrarie della narrazione che fanno di Shade The Changing Man una lettura imprevedibile.
In poche parole: siamo di fronte a un capolavoro. Folle come tutte le opere d’arte degne di questo nome. E il penciler regolare Chris Bachalo si fa influenzare dalle atmosfere della serie, impostando il lay-out in maniera apparentemente sconnessa ma in realtà soggetta a una ‘logica illogica’ indubbiamente adatta a un comic-book come questo. Certo, siamo lontani dallo stile sublime del Chris Bachalo di oggi (ricordiamo che questi episodi furono i suoi primi lavori in ambito fumettistico) ma l’influenza di Michael Golden inizia timidamente a cedere il passo e si intuisce che Chris sta cercando soluzioni grafiche più personali. Il delizioso remake del film di Don Siegel, invece, è illustrato da Bill Jaaska, meno efficace di Chris ma funzionale. E non bisogna trascurare le cover variopinte e psichedeliche di Brendan McCarthy. Insomma, Shade The Changing Man è imprescindibile. Non fatevelo sfuggire.