City of Dust di Steve Niles – Recensione
Pubblicato il 1 Luglio 2013 alle 16:00
Se la musica, la religione, i libri, i fumetti, la fantasia fossero banditi dalla società perché ritenuti veleno per le menti, quanto ci sentiremmo manipolati e manipolabili?! Steve Niles affronta questo interrogativo nelle pagine di City of Dust, dove mescola la fantascienza con l’horror, suo genere preferito.
City of Dust
Autore: Steve Niles (sceneggiatore), Brandon Chng (disegnatore)
Casa Editrice: Comma 22
Genere: Fantascienza, Horror
Provenienza: U.S.A.
Prezzo: 15.00 €, 19×24, pp. 160, col.
Data di pubblicazione: Giugno 2013
Anno 2166. Il governo mondiale formula una serie di leggi che tendono a sopprimere la fantasia non consentendo superstizione alcuna. Al bando quindi le religioni, le idee o qualsiasi tipo di racconto che possa comprendere eroi, idoli e dei, considerati illegali e ingannevoli. Ci viene mostrata la società attraverso gli occhi di un poliziotto che, a soli 7 anni, fece arrestare il proprio padre per crimini d’immaginazione.
Cresciuto poi dal sistema che lo ha reso freddo e apparentemente privo di sentimenti, vive una vita abitudinaria, ma qualcosa dentro di lui sta cambiando ed è in cerca del suo io più puro. La società che lo circonda, nonostante sia oppressa dal sistema e dalle leggi, trova comunque il modo di ottenere ciò che vuole, se ne deduce che una cosa illegale non sparisce semplicemente, ma si nasconde nei bassifondi dove il nostro protagonista svolge il suo lavoro da poliziotto. Le persone comuni a causa di tutta questa privazione diventano, così, criminali.
Steve Niles è uno sceneggiatore spettacolare e molto cinematografico, crea delle atmosfere cariche di tensione e le pagine si susseguono con una rapidità incalzante e travolgente. Sfruttando un’ambientazione a lui poco nota, la fantascienza, si muove con maestria, infarcendo le pagine di materiale dal contenuto horror-splatter che ha le caratteristiche e il sapore del noir.
Le illustrazioni a colori di Chng risultano ovattate e molto realistiche, la scelta dei colori e delle luci da un senso di vuoto e di privazione, del tutto in linea con il tipo di ambientazione. Vignette che si sovrappongono, fuori asse, asimmetriche, riprese oblique e ottime prospettive fanno di questo fumetto un’esperienza tridimensionale di alto livello, quasi a renderla interattiva.
La disposizione genera dinamicità senza confondere il lettore, anche lo spazio dietro le vignette viene considerato e ottimizzato per raccontare e comunicare qualcosa, riempiendo così la totalità della pagina creando un certo legante tra vignette successive, plasmando continuità.
Interessante l’utilizzo del colore rosso che viene messo in primo piano, quando è presente. Nelle rappresentazioni di carneficine il sangue assume una colorazione cremisi e tutto il resto della scena assume un tono smorzato, mentre nelle scene di scontro fisico, dove il sangue non è presente, il rosso diventa protagonista e colore primario della scena.
Quanto è giusto lottare per il proprio libero arbitrio anche a costo della vita? Quanto possono essere illegali le stesse leggi applicate per controllare le masse, come gli abusi della religione? A queste domande risponde il personaggio del dottore: “Io non ho ucciso, io ho creato! Ho creato la vita per ispirare le persone. Per alimentare l’immaginazione della gente!”. Come un nuovo Frankenstein ci presenta la compassione per le persone e l’amore per la libertà, sottolineando che non basta la paura dell’ignoto a controllare la vita e l’immaginazione della gente.
La scelta del titolo rispecchia totalmente il contenuto del fumetto, da un senso di fissità e di vecchio, come se le coscienze delle persone fossero sopite e mantenute come suppellettili a prendere polvere sul davanzale del mondo. Polvere che si accumula sui corpi appesantendo e intralciando sempre di più la voglia di ribellione e la ricerca della verità.