Baby’s in Black: Recensione
Pubblicato il 20 Dicembre 2011 alle 13:21
Arne Bellstorf ripercorre nel suo delicato racconto la relazione che legò la fotografa Astrid Kirchherr al bassista dei Beatles Stuart Sutcliffe, facendo rivivere il mito degli anni Sessanta all’alba della leggenda del quartetto di Liverpool.
Baby’s in black
Autore: Arne Bellstorf
Editore: Black Velvet
Provenienza: Germania, 2010
Formato: 16,5×24, brossurato con bandelle, 216 pag., b/n
Prezzo: € 16,00
Anno di pubblicazione: 2011
Il mito dei turbolenti anni Sessanta che avrebbero cambiato il mondo raccontato attraverso l’intensa e drammatica relazione tra la fotografa Astrid Kirchherr e l’allora bassista dei Beatles Stuart Sutcliffe, rapito dall’amore e dall’arte, e poi strappato alla vita all’alba di una carriera musicale diventata leggenda.
Questa la trama di “Baby’s in black – La storia di Astrid Kirchherr & Stuart Sutcliffe”, narrata con grande sensibilità dal giovane autore tedesco Arne Bellstorf.
Con un segno corposo e denso, dalle linee nette, cui si accompagnano campiture che non si preoccupano di essere troppo precise, Bellstorf ripercorre gli avvenimenti personali dei suoi protagonisti nell’intenso biennio 1960-1962 con il ritmo pacato e ovattato del ricordo che viene richiamato alla memoria e ai sentimenti.
Quasi in un susseguirsi di fotografie in bianco e nero, l’autore immortala umori e atmosfere di un ambiente ancora fortemente provato dal dopoguerra ma ormai scosso da potenti fermenti artistici, che portano all’incontro tra le sensibilità di Astrid e Stuart.
Di quell’Astrid riconosciuta a livelllo mondiale come la presunta creatrice del celebre look del quartetto di Liverpool e loro fotografa nei concerti tedeschi non c’è traccia. Così come dei Beatles come li conosciamo oggi, non vi è quasi nulla. Solo, l’intesa scoccata tra i giovanissimi musicisti britannici e gli artisti tedeschi, in un groviglio di speranze e aspirazioni, ben prima del successo planetario.
In questo senso, è coerente il modo di rappresentare le figure, che nonostante siano ormai delle vere e proprie icone mondiali, non vengono rappresentate in chiave realistica in modo tale da renderle chiaramente riconoscibili come lo sono oggi nell’immaginario collettivo. In questo modo, i personaggi, pur mantenendo la loro specifica e inimitabile individualità, evitano il pericoloso effetto caricaturale che avrebbe certamente nuociuto alla narrazione.
Il tema del bianco e nero viene portato avanti in tutta l’opera, non solo nella scelta strettamente grafica, ma anche nel contrasto tra la rappresentazione della realtà, permeata dai toni scuri, e la raffigurazione delle sensazioni di Astrid, rese con ampi spazi bianchi.
La narrazione, che si prende senza fretta i suoi tempi dando respiro e intensità a quel gioco di sguardi che è all’inizio dell’intera vicenda, sul finale diventa improvvisamente concitata e muta, così come rapida e improvvisa è stata la morte del giovanissimo Stuart.
Concludendo, “Baby’s in black” è un viaggio nel tempo e nel ricordo, alla scoperta di un modo di sentire che ha dato vita alla grande rivoluzione di quel decennio, ma narrato con discrezione e profondo rispetto tramite il sentimento di chi con la sua arte ne avrebbe interpretato lo spirito più autentico.