Recensione – Superman: Alieno Americano, di Max Landis

Pubblicato il 10 Maggio 2017 alle 10:00

Il figlio di John Landis (regista di capolavori del cinema come Un Lupo Mannaro Americano a Londra, Animal House, The Blues Brothers) rinarra le origini dell’Uomo d’Acciaio, esplorando l’infanzia e l’adolescenza di Clark Kent attraverso sette storie auto-conclusive impregnate di originalità e freschezza.

Le origini di Superman sono state narrate tantissime volte in tantissime storie diverse, tutte scritte da tantissimi autori diversi. Pensate a John Byrne. Mark Waid. Geoff Johns. Chiunque voglia imbarcarsi nell’impresa di raccontare la propria storia su un personaggio così importante e longevo, sa di doversi confrontare con una pesante eredità.

Ma grazie al genio narrativo di Max Landis – coadiuvato da una cascata di artisti eccellenti – American Alien trova facilmente (e felicemente) il suo posto fra i classici della letteratura legata all’Uomo d’Acciaio.

Innanzitutto, c’è da dire che lo scopo di Landis non è quello di ri-narrare dall’inizio e completamente la storia delle origini di Superman: l’idea alla base di American Alien è quella di concentrarsi su sette momenti della vita di un giovane ed inesperto Clark Kent – specifici momenti che dall’infanzia, passando per l’adolescenza, arriveranno a qualche anno prima dell’età adulta … prima di Superman.

L’Alieno Americano di Max Landis non è Superman, ma Clark Kent: ogni storia auto-conclusiva vuole raccontare un determinato aspetto caratteriale del piccolo alieno atterrato nella fattoria dei Kent, così che una volta messe insieme, le sette storie siano in grado di offrire un quadro completo sul perché Clark Kent è Clark Kent; spiegare cosa lo definisce, cosa lo spinge ad essere un eroe.

Attraverso queste sette tappe della vita del personaggio, Landis indagherà l’evoluzione emotiva del giovane che un giorno sarebbe diventato il più grande supereroe di sempre: la storia funziona a meraviglia – ognuna delle sette storie funziona a meraviglia – perché è un perfetto racconto di formazione in salsa dickensiana che avrebbe funzionato anche fuori dal contesto “supereroi”.

Non manca una profonda caratterizzazione dei personaggi secondari: dai più ovvi, come Jonathan e Martha Kent (ma anche un affascinante, cinico e logorroico Lex Luthor), fino ad altre vecchie conoscenze DC meno scontate e non strettamente legate all’universo Superman (si pensi alla Barbara Ann Minerva pre-Cheetah del #3).

Il cast di disegnatori è eccellente ed ogni tavola è spettacolare, ed è da lodare la scelta di assegnare ogni storia ad un diverso artista: in questo modo ciascun capitolo ha una propria anima sia dal punto di vista tematico, sia da quello grafico.

L’unica pecca il numero finale, probabilmente il più debole (anche per la scelta del villain) e che abbassa il livello qualitativo proprio all’ultimo, quando invece era lecito aspettarsi una conclusione con tanto di fuochi d’artificio. Ma si tratta comunque di una storia godibile, che non va ad inficiare sulla totalità dell’opera.

Un’opera che nessun fan di Superman dovrebbe lasciarsi sfuggire.

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