Orfani – Ringo n. 12: C’era una volta… – Recensione
Pubblicato il 15 Settembre 2015 alle 09:57
Ringo e Rosa arrancano su desolate montagne innevate rischiando di morire assiderati quando s’imbattono nell’accampamento del pirata Cesar che organizza viaggi clandestini verso il Nuovo Mondo. Nel frattempo, la presidentessa Juric sguinzaglia i nuovi Orfani sulle tracce dei due fuggitivi. Tra Ringo e la Juric si profila il drammatico scontro finale.
Lacrima sangue l’occhio guercio di Ringo mentre il suo dimezzato, glaciale sguardo azzurro è solcato da un baluginio d’umanità. L’albo conclusivo della seconda stagione di Orfani, scritto da Roberto Recchioni, ideatore della serie, è interamente percorso da contrasti e dicotomie di immediata efficacia. Tra vignette imbiancate sferzate da vento e neve si muovono Ringo e Rosa raffigurati con stile plastico e realistico da Roberto Zaghi, al suo esordio sulla testata e già in forze su altri titoli Bonelli quali Julia e Zona X.
Spicca la contrapposizione tra la sterilità dello scenario e la condizione gravida di Rosa. Il rapporto della ragazza con Ringo ha una nuova evoluzione. In una piccola metamorfosi estetica l’ex-Pistolero mostra letteralmente il suo volto umano. Per due volte Rosa si trova immersa in uno scenario fiabesco e Ringo interviene in modi opposti comportandosi col consueto cinismo nel contesto più concreto e lasciando poi la ragazza a crogiolarsi in un ideale limbo onirico.
A metà dell’albo il lettore capisce quello che sarà il destino di Ringo e la parte restante della storia sarà una marcia inesorabile verso un epilogo ad alto tasso emotivo. Sempre in un riuscito gioco di contrapposizioni, i giovani Orfani che danno la caccia ai due protagonisti richiamano, com’è ovvio, quelli della prima stagione ma stavolta li vediamo per quello che sono realmente e finiamo a parteggiare per il terrorista Ringo.
Quest’insistita duplice prospettiva è sintetizzata da una semplice ma acuta scelta di sceneggiatura di Recchioni. Quando giungono all’accampamento di Cesar, Ringo e Rosa ne osservano l’attività con dei binocoli. Di contro, una vedetta del campo li prende di mira con un fucile. Al lettore viene fornita la visuale da entrambi gli obiettivi che permette quindi di empatizzare con i rispettivi punti di vista.
La sceneggiatura denota altre sequenze interessanti. In un paio di occasioni, Recchioni opta per una costruzione della tavola con una serie di vignette doppie. L’inquadratura resta fissa mentre sono i personaggi al suo interno che danno vita all’azione con il consueto ritmo cinematografico. Un dialogo tra Ringo e la Juric è sviluppato in una tavola con nove primi piani in altrettante vignette di uguali dimensioni a ricordare un po’ Frank Miller e un po’ Watchmen di Alan Moore.
Due suggestive splash-page. Una richiamerà senz’altro nella mente del lettore l’11 settembre, in maniera forse provocatoria. Nell’altra, Ringo e la Juric, figura paterna e materna, sono riuniti in una specie di distorta famiglia disfunzionale. L’epilogo, ancora dicotomico, gioca sui contrasti cromatici accesi da Giovanna Niro e su nuove metafore: liquido, simbolicamente amniotico, contro fiamma di morte, purificazione e redenzione.
La seconda stagione si conclude lasciando alcuni discorsi aperti per la terza. Punto forte di questi ultimi dodici numeri di Orfani sono stati l’ambientazione italiana post-apocalittica, l’alternanza ai testi tra le opposte sensibilità di Recchioni e Mauro Uzzeo, tanto per restare in tema di dualismo, e una resa estetica sempre eccellente. Forse l’unico neo è la metafora sul gioco d’azzardo imbastita nel primo numero e poi persa per strada. Quest’ultimo numero ci lascia con una riflessione sulla relazione genitori-figli che va oltre il semplice legame biologico con una suggestione più moderna, aperta e consapevole del concetto di famiglia.