Gintama di Hideaki Sorachi, recensione manga Star Comics
Pubblicato il 5 Maggio 2015 alle 14:31
Politicamente scorretto, demenziale e fantastico, Gintama torna in Italia edito da Star Comics
“C’è un’altra cosa più importante del cuore: è indivisibile e attraversa tutto il mio corpo, ed è grazie a essa che posso stare dritto. Se non facessi nulla però la distruggerei e io voglio proteggere la sua integrità anche se significasse dare la vita. Se diventerò vecchio e curvo per gli anni, la mia anima dovrà stare sempre eretta.”
Duttile e malleabile più dell’oro, lucente e stabile, l’anima che Gintoki difende strenuamente è un’anima d’argento, letteralmente Gintama, come recita il titolo dell’opera del maestro Hideaki Sorachi.
Dopo la sfortunata parentesi con l’edizione Planeta De Agostini che aveva iniziato la pubblicazione del manga nel 2008 per poi interromperla al 18° volume, Star Comics raccoglie la sfida e restituisce ai fan fedelissimi e ai nuovi l’opportunità di collezionare tutti i volumi di uno dei manga più originali e irriverenti del panorama giapponese.
In una Edo, antica Tokyo, alquanto bizzarra e pittoresca, dove antico e nuovo cozzano tra loro, l’invasione aliena degli Amanto ha privato gli abitanti della libertà di commerciare e l’editto di Haitorei proibito ai samurai l’arte della spada. Gintoki Sakata, un ex-membro della resistenza, continua la sua lotta ai soprusi e allo straniero prevaricatore in modo del tutto originale. Gintoki si guadagna da vivere come tuttofare, accettando qualsiasi tipo di lavoro per pagare l’affitto. È un lettore ossessivo compulsivo di Shonen Jump – la stessa rivista che ospita il manga dal 2003 – ed è dipendente cronico dai dolci. Per casi del tutto fortuiti incontra quelli che diventeranno i suoi assistenti al lavoro: l’occhialuto Shinpachi Shimura che porta con sé il sogno di far rivivere un giorno il suo dojo, e Kagura, ragazzina tutto pepe e ombrello della razza Yato, la più potente dell’universo. I tre dell’agenzia tuttofare che sorge sopra il bar di Otose, l’arzilla affittuaria sempre in lotta con Gin per la riscossione della quota mensile, nel corso del primo volume incontrano alcuni degli innumerevoli personaggi che popolano il mondo surreale creato da Hideaki Sorachi. Facciamo la conoscenza di Katsura, ex compagno d’armi di Gintoki del cui passato tormentato ci viene dato un piccolo assaggio con un flash back nel quale viene definito come Demone Bianco; lo stupissimo principe Hata; l’energica Otoe, sorella di Shinpachi; gli irresistibili ragazzi dello Shinsegumi, uno dei corpi di polizia di Edo, soprattutto del simpaticissimo Kondo, l’affascinate mayonnaise-dipendente Hijikata col quale Gin sviluppa sin dalla prima vignetta un rapporto particolare di odio/amore tipico tra i rivali del genere shonen, e il sadico Okita.
Grazie alla sua intelligenza e sensibilità, celata da una maschera di sciatteria e strafottenza, Gin risolve gli assurdi casi che i clienti gli presentano, suscitando l’ilarità del lettore, ma spesso anche la commozione.
Descrivere o spiegare l’universo di Gintama con le innumerevoli individualità che lo popolano è un’impresa quasi impossibile. Tali e tanti infatti sono i doppi sensi, le sfaccettature e i messaggi nascosti che l’opera stessa risulta un’opera nell’opera. Procedendo per gradi, Gintama può definirsi una parodia del mondo dei fumetti: i riferimenti ad altri manga soprattutto quelli ospitati su Jump, si sprecano. Gintama è anche un’opera di denuncia: l’improvvisa invasione aliena della Terra con le conseguenti restrizioni, su tutte l’editto Haitorei che proibisce l’uso delle armi, non è altro che un riferimento nemmeno troppo velato alla fine del Sakoku, o isolazionismo, avvenuta nel 1853, periodo Meji, quando il Giappone fu costretto ad aprire le porte all’Occidente firmando insieme con i Paesi Asiatici quei contratti definiti i”iniqui” con i Paesi Europei.
Ma Gintama è soprattutto un manga divertente oltre ogni limite, nel quale gag e umorismo la fanno da padrone, conditi da un’abbondante spruzzata di azione. Ogni storia gioca sull’evidenziare il bianco e nero di ogni situazione, mettendo sempre l’accento sul concetto giapponese dell’onore. I titoli di ogni capitolo un romanzo a sé, il filo rosso del passato oscuro che Gin cela nel suo vestirsi metà samurai, metà cittadino, l’equilibrio tra crack e angst mantenuto magistralmente, Gintama è un gioiello inimitabile che nel rivisitare altri stili ne ha inventato uno proprio, unico e irripetibile.
L’arte di questo primo volume, pubblicato per la prima volta in patria nel 2003 è ancora semplice ed essenziale, profondamente diversa da quella attuale. I visi e le fattezze di Gin, Shinpachi, Kagura, Hijikata & company sono ancora acerbi; lo stesso non può dirsi dei dialoghi, sagaci e irriverenti già dai primi balloon.
Doveroso un confronto con i fan e la vecchia edizione: una buona fetta dei vecchi lettori si è detta un tantino delusa dell’impostazione data alla traduzione, che a tratti risulta persino ridondante se paragonata a quella più immediata della Planeta. La permanente naturale di Gin si è trasformata in una capigliatura mossa e la maggior parte delle onomatopee si è ridotta a un gran “thumpare”. Ma ciò che ha fatto gridare allo scandalo e al sacrilego è stato lo stravolgimento di una delle frasi storiche pronunciate da uno dei protagonisti.
Detto questo, non si può non riconoscere alla Star Comics il grande coraggio di aver ripreso le redini di un cavallo imbizzarrito che era sfuggito alle mani del suo primo padrone, e quindi poter perdonare le ingenuità della prima ora. Il giudizio dei lettori è sacro e va assolutamente tenuto in conto per fare meglio in futuro, tuttavia non bisogna dimenticare il grande lavoro che sta dietro una traduzione e adattare i testi di Gintama, soprattutto di parodie a volte incomprensibili per colpa del gap culturale, sarà davvero una grande sfida per la Star Comics.
Gintama è il racconto corale di tanti personaggi che seppur sottomessi dalle ingiustizie sono riusciti a conservare una luccicante anima d’argento. Perché non c’è legge che possa incatenare un’anima intatta.