Ali di Farfalla di Emilio De Rosa – una recensione

Pubblicato il 5 Febbraio 2015 alle 16:00

E.F. edizioni spicca il volo con Ali di Farfalla, Volume 1,2,3, saga fantasy tutta italiana scritta e disegnata da Emilio De Rosa.

La ragazza si sveglia nel folto di una foresta. Non conosce quel luogo e non ricorda nulla del suo passato, neppure il suo nome. La paura, la sensazione di essere perduta, sospesa nell’etere come una farfalla, minaccia di assalirla. Ma sono proprio le farfalle, quelle piccole creature dalla vita breve e delicata come un sospiro, ad infondere in lei un nuovo coraggio e la forza per intraprendere il lungo viaggio alla ricerca della sua identità smarrita. Conrad, un giovane taglialegna solitario, la trova priva di sensi e le offre il rifugio della sua casetta tra gli alberi, dove si prende cura di lei, donandole anche un nome, che suona come un segno del destino: Lylia, come quelle farfalle che sempre la accompagnano. Conrad sarà il primo dei molti amici che la ragazza incontrerà lungo i sentieri di quel mondo misterioso, ricco di meraviglie, ma anche di pericoli. Con il loro aiuto, conoscerà l’anziana saggia del villaggio di Algard, che le indicherà la via da seguire per riallacciare i fili recisi della sua memoria.

Chi è veramente? Qual è la sua casa? Perché non ricorda nulla di ciò che le è accaduto prima di essere richiamata alla realtà dal volto di un uomo senza nome e dal volo di mille farfalle?

Lylia dovrà fare ricorso a tutte le doti celate nel suo cuore sensibile – sincerità, generosità, un coraggio che non ha bisogna della violenza –  per trovare le risposte a queste domande.

Ha così inizio una lunga e avventurosa ricerca tra terre esotiche e cieli sconfinati, specchio di quella nuova libertà che il destino ha in serbo per Lylia.

Quella intessuta da Emilio De Rosa è una trama antica, con molti illustri antecedenti nel mondo della letteratura fantasy e d’avventura, in fumetto o in prosa. Il percorso impervio di un protagonista alla ricerca del suo “vero io” riecheggia di fatto i canoni della caccia al tesoro, con la differenza che il tesoro tanto agognato non è più di metallo lucente, ma spirituale e profondo. Un percorso che è solo apparentemente lineare, ma che si arricchisce a dismisura mano a mano che la narrazione procede. Personaggi estremamente diversificati tra loro, portatori di storie differenti e spesso tanto complesse quanto quella del protagonista, si uniscono alla “quest” principale, condividendo le risorse a loro disposizione e i loro talenti per il buon compimento della missione.

Il Signore degli Anelli, Eragorn, I Racconti di Terramare, La Storia Infinita, sono solo alcuni dei titani del fantastico che traggono ispirazione da questa struttura narrativa ancestrale, in cui, di fatto, potremmo scorgere le tappe di ogni esistenza umana.

Proprio questo è l’intento di Ali di Farfalla, dichiarato fin dalla prima pagina: gnôthi sautón , “conosci te stesso”, il motto scritto nel tempio di Apollo a Delfi che è un invito a cercare sempre e solo il bene più prezioso, la conoscenza del nostro cuore e la vera felicità.

Un obiettivo lodevole, quello di Ali di Farfalla, ma ricco di insidie, proprio perché così alto e difficile da raggiungere. Partendo da tali presupposti e con il peso di antecedenti così illustri come quelli che abbiamo nominato (assieme a molti altri ), la cui ombra rischia di nascondere tutti i nostri tentativi di eguagliarli, risulta davvero estremamente arduo dipingere un’opera di sufficiente spessore morale e artistico. Il pubblico sarà inevitabilmente esigente ed attento a ogni sfumatura di significato, ad ogni dettaglio tecnico e certamente puntuale nella critica.

Già avere raccolto la sfida e tentare di perseguire un così importante scopo è motivo di applauso per Ali di Farfalla e per il suo autore. La protagonista chiamata sulla scena (un’ eroina femminile e quindi, benché non un unicum letterario, già elemento di libera interpretazione rispetto alla maggior parte dei precursori) è una ragazza assolutamente priva di particolari doti atletiche o combattive. Le sue sole forze risiedono nella grande umiltà, compassione e generosità di spirito, e se il ritmo dell’azione ne potrà andare a detrimento, ne assume però spessore il valore profondo della storia. Lylia non cerca di imporre la propria visione del mondo con la forza, bensì usa parole sagge e sguardi per convincere i suoi nemici. Non conquista a colpi di spada o magia ciò di cui ha bisogno, ma lo ottiene domandando gentilmente. E’ una vera e propria rivoluzione in quell’universo fantasy così abituato a veder scorrere fiumi di sangue e scaturire saette incenerenti dalle mani di vecchi stregoni barbuti.

Un elemento di modernità, dunque, che riflette la filosofia più pacifista (almeno a parole) e introspettiva dei nostri giorni. Eppure il linguaggio usato da De Rosa non si adatta a questo rinnovamento di prospettive. I suoi dialoghi risalutano spesso appesantiti da numerosi incisi, lunghe subordinate e termini aulici, che, sebbene rispecchino l’ambientazione fantasy in cui si dipana la storia, non per questo risultano più adatti a giovani ragazze, boscaioli o rudi fabbri.

I disegni, poi, declinati in chiaroscuri netti e fittissimi, quasi litografici, ricordano nel tratto (benché non nel bianconero) bandes dessinées di genere fantastico come Le Cronache della Luna Nera, di Anlgeraud e Froideval, e Wika e la Furia di Oberon, di Thomas Day e Olivier Ledroit.

Qui, tuttavia, la precisione anatomica e di prospettiva cede il passo ad un disegno più figurativo e meno realistico. Personaggi appaiono quasi bidimensionali, nonostante il gioco di luci e ombre, perché stagliati su sfondi quasi inesistenti. Il focus è tutto sui volti e molti sono i primi e primissimi piani. Il bianco e nero è puro, le linee articolate, ma i corpi non trasmettono il movimento, quanto lo suggeriscono; sono questi elementi di stile che fanno correre la mente a quei primissimi manuali di Dungeons&Dragons in cui le illustrazioni non erano tanto specchi fedeli del testo quanto “micce” per la fantasia del lettore.

Ali di Farfalla, a dispetto del titolo, non è dunque un’opera leggera e volatile, bensì ragionata e ben costruita. I termini arcaici e i toni a tratti pomposi e didascalici sono certo una nota stridente all’orecchio del lettore che desidererebbe una narrazione più fluida. Ai testi si affiancano poi disegni forti , di uno stile che rischia a volte di scivolare in un barocco chiaroscuro, ben percepibile (e piuttosto stupefacente), in elementi come i vestiti delle donne di Algard, dai mille decori, i tacchi alti e gli spacchi plastici.

Debolezze strutturali che vengono tuttavia in parte risanate dal filo di senso sotteso all’intero racconto: il cammino di tanti esseri, umani e non, attraverso un mondo spesso crudele, ma capace allo stesso tempo di donare felicità e speranza in una vita migliore.

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