Si dà il caso che – La recensione del nuovo lavoro di Fumio Obata

Pubblicato il 6 Novembre 2014 alle 10:15

La storia di Yumiko, ragazza giapponese emigrata a Londra ma ancora legata alla sua terra natale, commuove e coinvolge: ecco Si dà il caso che!

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Yumiko è una ragazza giapponese che ormai vive a Londra da qualche anno: lavora in uno studio di design, ha un fidanzato con cui fare progetti a lungo termine. Ma Londra non è casa sua, non ancora completamente: quando gira per le strade, i suoi pensieri prendono direzioni più disparate, non riesce ancora a sentirsi radicata e soddisfatta.
Un fulmine a ciel sereno però interrompe la sua vita: la notizia della morte del padre durante un’escursione, che la costringe a tornare in Giappone per il funerale.

Yumiko dovrà così tornare nella sua terra natia, e contemporaneamente risolvere le questioni ancora aperte nella sua vita. Il ritmo della prima parte è dolce, lento, Yumiko è una ragazza pacata e le cose le scorrono attorno quasi lasciandola estranea.
Tende a vagare con i pensieri, ad estraniarsi, e Obata rende benissimo questo suo modo di essere: non insiste particolarmente nel creare sfondi dettagliati, ma dà  piuttosto una struttura libera alla tavola, con abbondante uso del bianco e con linee e colori sfumate e pastose.

Il ritorno di Yumiko in Giappone è a metà tra il nostalgico e il malinconico: la ragazza non sembra essersi staccata completamente dalla sua terra, ma contemporaneamente vive in maniera estranea le sue usanze e le sue tradizioni.
La parte centrale è dedicata al funerale e all’elaborazione del lutto della sua famiglia: Obata riesce a trattare il tema in maniera non troppo pesante e contemporaneamente a fare una critica alla cerimonia giapponese, in passato ricca di significato ed emozione ed oggi ridotta ormai ad una serie di gesti di routine, con tanto di monaco che arriva in motorino ed è pronto a scappare ad un altro funerale.

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In queste tradizioni e cerimonie superficiali, la protagonista naviga tra ricordi del padre: il rapporto non è conflittuale ma neanche di pura comprensione, la scelta di andare in Inghilterra non era stata forse apprezzata pienamente dal padre di Yumiko. E così la sua morte diventa l’occasione finale per chiudere il rapporto, per dargli un senso, e Yumiko non potrà commuoversi per la sua morte finché non troverà il coraggio di essere orgogliosa e decisa delle sue scelte di vita anche davanti a lui.

Si dà il caso che è anche una riflessione sul ruolo della donna, sulla sua possibilità di seguire i propri sogni in una società chiusa come quella giapponese, che però offre alle madri un ruolo più stabile e sicuro. Le due posizioni sono rappresentate dal ricordo del padre, tradizionalista e più rigido, e dalla madre di Yumiko, donna indipendente e libera, che Yumiko dovrà riavvicinare per comprendere le sue radici.
In tutto questo, il teatro classico giapponese viene scelto da Obata come simbolo di questa rigidità: una serie di procedure che guidano la vita in una direzione rassicurante ma da cui non si può sviare, mentre seguire i propri sogni è necessariamente una rottura tragica che porta dubbi e difficoltà.

E’ da notare come queste due visioni non vengano contrapposte in maniera netta: la protagonista non prende a cuor leggero le sue decisioni, la fuga dalla società classica e la critica alla rigidità sociale è comunque bilanciata da tutti i pro e i contro del caso.
Non ci sono grandi eventi che portano avanti la trama, tutta la graphic novel è un lungo viaggio sia fisico, sia temporale ma sopratutto interiore alla ricerca di una direzione ma soprattutto di un senso, e Obata ci fa capire che questa ricerca non può che partire dalle proprie radici geografiche e familiari.

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Ci sono un paio di momenti commoventi ma non si scade mai nel melodramma e nei facili sentimentalisimi. Yumiko non cambierà radicalmente, come raramente accade ad una persona: rimane alla fine delle 160 pagine del fumetto una ragazza un po’ svagata e piena di dubbi, ma sicuramente maturata e cresciuta avendo elaborato il suo lutto.
Obata riesce a rendere un fumetto molto intimo scorrevole alla lettura, decidendo saggiamente di non infarcire la storia di dialoghi inutili o di approfondimenti di personaggi fini a se stessi, ma piuttosto lasciando un po’ di spazio all’intuito e all’immaginazione del lettore, e facendo parlare le tavole e i colori in alcuni momenti cruciali.

Il tratto è morbido, sicuramente non dettagliatissimo (ma non è a questo che punta) e riesce a tratteggiare dei volti espressivi ma non caricaturali, a dare il giusto peso ai corpi dei personaggi che si armonizzano bene nel paesaggio senza risultare distorti nelle loro forme allungate e tondeggianti.

Si dà il caso che è un fumetto sostanzialmente riuscito sotto ogni punto di vista: ottimo comparto grafico, coerente con il tema, racconta una storia interessante e toccante e contemporaneamente lancia almeno un paio di messaggi sociali importanti e attuali.
Chi cerca un tipo di fumetto personale e riflessivo farà bene a considerarne l’acquisto.

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